di Alice Bellini
«Ogni immagine esteriore corrisponde un’immagine interiore che evoca in noi una realtà molto più vera e profonda di quella vissuta dai nostri sensi. Questo è certamente il senso dei simboli, dei miti e delle leggende: ci aiutano ad andare al di là, a guardare oltre il visibile.
Questo è anche il valore di quel capitale di favole e di racconti che uno mette da parte da bambino e a cui ricorre nei momenti duri della vita, quando cerca una bussola o una consolazione. Di questi miti eterni, capaci di far strada all’anima, in Occidente ne abbiamo sempre meno».
Tiziano Terzani
L’acqua della follia
C’era un tempo un Re gentile e sapiente, che con dedizione e saggezza governava la sua gente. Era amato da tutto il suo popolo, che ogni giorno ascoltava le sue parole con attenzione e grande plauso.
Solo uno stregone, avido e invidioso, non sopportava quel sovrano, che poco lasciava spazio alle illusioni e agli opportunismi, ma che invece con grande illuminazione e giustizia portava avanti il suo operato, facendo del suo popolo un esempio di consapevolezza e nobiltà d’animo.
Il giorno venne che il Re compì i suoi anni. Il reame fece gran festa, ricoprendolo di lodi e doni. E lo stregone pensò bene di fargli anche lui il suo. Si recò alla sorgente da dove sgorgava l’acqua che arrivava a tutte le fontane del regno e vi versò una pozione magica che istupidisse la mente e l’animo di chiunque la bevesse, facendolo diventare ottuso, superficiale e distratto da ciò che veramente importava.
Durante i grandi festeggiamenti, tutti ovviamente bevvero l’acqua delle fontane. Tutti tranne il Re, che godeva di una fontana personale, fornita da una sorgente differente da quella del resto del reame.
Fu così che a partire dal giorno seguente, il popolo cominciò a non approvare più i discorsi del Re, che sembravano non stare né in cielo né in terra. Parevano andare contro tutto quello che il popolo credeva importante e sensato, urgente e problematico, nocivo e pericoloso.
Ben presto cominciò a girare voce che il Re fosse diventato pazzo.
Le feste in suo onore cominciarono a diminuire, come anche i partecipanti ai suoi discorsi giornalieri in piazza. La disobbedienza e la corruzione presero presto piede e tutti sembravano più presi dalla materialità della vita, che da ciò che davvero rendeva uno spirito valido e prezioso. Tutti si lamentavano perché le regole del reame non permettevano di diventare abbastanza ricchi, o abbastanza belli, o abbastanza famosi e gloriosi.
Il Re rimaneva stoico nelle sue convinzioni e nei suoi ideali, e non per paura di perdere il suo potere fu disposto a cambiarli. Certo, era perplesso da tutto quell’improvviso disaccordo. E il dispiacere era più per i suoi sudditi, che parevano tutti poveri impazziti, pieni di rabbia, paura, odio e invidia, che per sé stesso, che anche con solo uno straccio per coprirsi e una capanna di fango dove abitare si sarebbe sentito ricco e in pace col mondo.
Una notte, mentre il regno dormiva, decise di fare quattro passi per le strade, nel tentativo di capire cosa potesse essere successo. A un certo punto, accaldato dalla passeggiata, si fermò presso una delle tante fontane. E si dissetò.
Il cambiamento non fu repentino, ma anche il Re, a partire dal giorno a seguire, divenne altrettanto povero, rabbioso, avido e rancoroso. E quando finalmente la prima legge venne modificata in nome di ricchezza, bellezza ed effimero successo, il popolo ricominciò a fare gran festa, perché finalmente il Re era rinsavito.
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