di Alessandro Grimaldi, da Budapest
Volete restare in Ungheria?” “No” (3 volte) Dove volete andare?” “Germania (3 volte)” “Aprite la stazione!” applauso ritmico (3 volte) a guidare i cori è un ragazzo girato verso la folla che urla a squarciagola, senza megafono, senza portarsi le mani alle labbra a mo di megafono, ma la protesta si spegne quasi subito, tra un po’ arriverà il sole a picco e anche oggi supereremo i 30°C, meglio riprendere dopo le 18.
Per ora la protesta è questa, molto civile, ieri persino un sit-in il cordone di polizia davanti all’ingresso della stazione Keleti è esiguo e qualche poliziotto ha pure gli occhiali. Non si sa ancora per quanto resteranno qui, queste 3,4, 5000 persone, illuse dalle dichiarazioni della Cancelliera tedesca e da qualche treno partito due giorni fa, prima che l’accesso alla stazione fosse impedito a quelli senza regolare visto.
Ora occupano anche la totalità della piazza antistante la stazione e oltre, quella che nei giorni precedenti era una sorta di zona dei privilegiati, di pelle bianca o quasi e passaporto UE, mentre i dannati con le loro tende, tappeti, odori e bambini con i gessetti colorati in mano erano lì sotto nel sottopassaggio della metropolitana, nuovo e minimalista.
Sono soli e non sanno cosa fare, davvero non succede che succede e come e quando la situazione potrà evolvere.. lasciati soli, a Keleti, la stazione orientale di Budapest, da dove per ironia della sorte partono i treni per l’Occidente, non c’è la protezione civile, non c’è la Croce Rossa ci sono gli Hare Krishna, i punk con cui si fanno le foto i siriani, tanti giornalisti stranieri accorsi all’improvviso e gente che fotografa ovunque le disgrazie degli uomini ed encomiabili volontari, ma come dice chi ne ha viste più di me senza le incredibili gare di solidarietà viste altrove.
È la logica conseguenza di un processo iniziato da lontano, da quando si è aperta questa nuova rotta dei migranti, la consultazione nazionale di Orban, i grandi cartelloni per dire gentilmente e con tutto il rispetto non vi vogliamo, a giugno la decisione di costruire un muro al confine, che poi è diventato una provvisoria supermatassa di filospinato srotolata tra Ungheria e Serbia, che ci si può anche passare attraverso.
Ed ora questo spettacolo indecoroso qui a Keleti, migranti che continuano ad arrivare e ad ammassarsi per ogni dove nella grande Baross tèr e vie circostanti, sulle statue, nelle cabine, contro ogni minima regola igienica. Si voleva l’emergenza e la si è ottenuta. I migranti son qua praticamente da sempre, da mesi, ma quasi nell’indifferenza dei più, e solo ora fa notizia e cattura l’interesse dei media europei, ora che anche qua ci son stati 71 morti e che con la bella stagione i flussi migratori sono aumentati fino a raggiungere le 3, 4000 arrivi al giorno.
E tutti vogliono esser qua, non certo dall’altra parte del paese, a Debrecen dove c’è il centro di accoglienza principale del paese, no, qui a Keleti, da dove partono i treni verso Occidente.
Non si pensi quindi che l’Ungheria fosse impreparata all’arrivo dei migranti, li si aspettava, e la società ungherese non è vergine e innocente, spaventata da questi stranieri sconosciuti frutto della globalizzazione, tutt’altro, l’Ungheria conosce la globalizzazione da sempre, dalla sua fondazione, che qui si chiama honfoglalas, occupazione della patria, ad opera di sette tribù magiare provenienti dall’Asia Centrale. L’area della stazione destinata ai migranti è etichettata come tranzit zone. Ottima scelta, l’Ungheria è geograficamente nel bel mezzo dell’Europa, zona di transito da sempre e ha una storia di meltingpot culturale che si vede nelle facce della gente, tratti sassoni e rom, semitici e serbi, ruteni e slavi.
E conosce l’emigrazione sempre attraverso l’agognato confine con l’Austria verso occidente nel ’56 o nell’89, quando il facile passaggio del confine austriaco da parte dei tedeschi est, sancì di fatto l’abbattimento del muro di Berlino.
Ed ora l’Ungheria è l’unico paese che ha dichiarato che non accetterà nemmeno un migrante secondo le regole di Dublino, e la gente è d’accordo. Come faremo ad accogliere tutta questa gente, chi gli darà da mangiare, non c’è lavoro neanche per noi. Secondo gli ultimi sondaggi il 66% degli ungheresi crede che “i migranti siano un potenziale pericolo e per questo non devono essere ammessi” mentre solo il 19% pensa sia un dovere accoglierli. La lenta perdita di consenso di Fidesz, il partito di governo, si è arrestata. Una settimana la signora di mezza età che attaccato bottone nella sala d’attesa del dentista, ma nella sua innocenza lo diceva anche ad alta voce parlando con la nonna un ragazzino disabile sul tram, “I migranti…, non vogliono che arrivino qui”.
Forse per non farne arrivare altri, telefonassero pure.
L’altro sentimento che si aggira per la piazza è la confusione. La cronaca minuto per minuto del principale sito di informazione ungherese index.hu ha due giorni lo stesso titolo: Stallo totale a Keleti.
La Merkel, quella che aveva fatto piangere la bambina palestinese dicendole qui non ci sarà mai posto per te, ha poi detto che accetterà tutti i siriani.
In Ungheria il numero di migranti che alla frontiera si dichiarano siriani è raddoppiato il giorno stesso. Qualche treno è partito lunedì, poi da martedì contrordine, stazione chiusa, con rumours di telefonata di fuoco di prima mattina Merkel -Orban.
La situazione che diventa pian piano fuori controllo e l’UE che decreta riunione d’urgenza per il 14 settembre, ovvero tra due settimane, come se per ora la situazione fosse sotto controllo. Molto più sollecito invece sembrerebbe il governo ungherese. Hanno annunciato un pacchetto di modifiche legislative (ben 13) per introdurre la decretazione dello “stato di crisi per immigrazione di massa”, quando hai i 2/3 del parlamento o quasi nelle mani di un unico partito son misure che puoi prendere velocemente.
Stato di emergenza e poteri speciali alle forze di polizia che non portano certo alla mente bei ricordi.
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