di Christian Elia
Amnesty International, la Rete Italiana per il Disarmo e l’Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e Politiche di Difesa e Sicurezza si sono unite per chiedere al governo Renzi di intervenire subito rispetto alle armi prodotte in Italia che alimentano il conflitto in Yemen.
Per la prima volta dall’inizio degli attacchi della coalizione guidata dall’Arabia Saudita, a marzo, le truppe saudite sono entrate via terra in Yemen il 27 agosto. Lo hanno documentato al-Jazeera e altre fonti internazionali. L’ingresso è avvenuto nella zona montagnosa di confine, dalla provincia saudita di Jizan.
Sarebbe stata questa la reazione rabbiosa dell’esercito saudita per la morte di un generale, colpito assieme ad alcuni dei suoi uomini da un attacco lanciato dai miliziani Houti dallo Yemen domenica 23 agosto.
I vertici militari sauditi hanno sottolineato che l’incursione è solo temporanea, per bonificare la zona, dalla quale continua il lancio di razzi, ma al momento non c’è la conferma della sospensione dell’operazione di fanteria.
Secondo le Nazioni Unite, da marzo, sono almeno 4300 le vittime dei raid aerei della coalizione in Yemen, mentre secondo fonti saudite, sarebbero almeno 50 le vittime in Arabia Saudita per gli attacchi nella zona del confine.
L’obiettivo dell’azione militare guidata da Riad è quella di stroncare l’insurrezione dei miliziani (supportato dall’Iran) sciiti. Un conflitto che nasconde le sue ragioni strategiche sotto il tappeto del terrorismo e che usa la tensione interconfessionale tra sunniti e sciiti per alimentare una sorta di ‘guerra fredda’ nel cuore dell’Islam.
Un conflitto che sembra molto lontano dall’Europa, dall’Italia. E in quanto tale subisce il destino di tanti conflitti in corso nel mondo: la rimozione. Fino a quando quelli che sopravvivono non arrivano in Sicilia, in Grecia, in Turchia, magari soffocando in una stiva o in cassone, magari morendo mentre raccolgono pomodori per continuare la fuga.
Anche in questo caso pare non ci riguardino le guerre dalle quali fuggono, perché i ‘migranti’ o i ‘clandestini, a seconda delle narrazioni, sono numeri impersonali, senza nome, in modo da non dover ragionare sulle dinamiche di quelle guerre che ne stravolgono le esistenze.
E invece ci riguardano. Prendiamo proprio lo Yemen. Human Rights Watch, in un report diffuso a fine agosto, ha denunciato l’utilizzo da parte delle forze armate saudite di cluster bomb. Si tratta di munizioni a frammentazione, bombe nelle bombe, che hanno un effetto devastante sulle persone investite dalle esplosioni immediate o tardive, in caso di proiettili inesplosi che detonano in un secondo momento.
A queste armi che ormai sono ritenute da bandire, in osservanza della Convenzione di Oslo sulle “armi inumane”, nonostante i tanti tentativi di revisione sostenuti dai paesi produttori: Usa, Israele, India, Cina, Russia. E Italia.
Un’inchiesta del collettivo di giornalisti Reported.ly, di giugno 2015, ha ricostruito il percorso di alcuni componenti d’arma costruiti in Italia, da una società partecipata da molti investitori stranieri, la Rheinmetall.
La guerra in Yemen ci riguarda, come ci riguarda la vendita di armi che – dopo una leggera flessione nel 2013 – è tornata alle stelle in Italia. Le relazioni presentate a Camera e Senato raccontano di una crescita del 4 per cento, e verso il Medio Oriente del 34,6 per cento. Per questo, e per molto altro ancora, lo Yemen ci riguarda, come tutte le guerre del mondo.