testo di Marta Clinco
foto di Violetta Tonolli
Garbage city – in arabo Hay El-Zabbalin, “quartiere degli uomini della spazzatura” – è il sobborgo a maggioranza copta del Cairo, situato sull’altura che si eleva dalla Cairo islamica. La gente del posto la chiama “montagna Moqattam”: salendo, si trova qui la città nella città capitale dell’Egitto. Tetti e palazzi soffrono sotto il peso di sacchi maleodoranti, che ricolmi di spazzatura emanano odori acri e pungenti.
Carretti traboccanti di spazzatura trainati da asini o cavalli procedono verso i depositi disseminati nel cuore della cittadella, per poi riprendere il loro cammino verso le altre zone della città.
Quasi tutti gli “uomini della spazzatura” – in arabo, Zabbalin – sono cristiani copti. I raccoglitori più fortunati girano a bordo di malridotti pick-up. Per le strade echeggiano religiosi richiami alla simbologia cristiana ortodossa: icone di madonne, immagini del pope egiziano compaiono ad ogni angolo, in ogni via, dentro ogni casa, ornate d’oro e gioielli. Qui molte donne indossano la galabya – vestito tradizionale arabo, sì, ma senza il velo. Portano la croce al collo. Il sobborgo cristiano sembra vivere una vita propria, separata da quella del resto della città: piccoli ristoranti, intimi caffè, macellerie che vendono carne di maiale. Sempre, su tutto, l’odore acre di spazzatura, non ignorabile per chi viene da fuori. La chiesa principale, il leggendario monastero di Saint Simon, sorge scavata nella roccia. Da Padre Samaan Ibrahim, uno degli esorcisti più famosi al mondo – almeno, in quello arabo – si recano moltissimi fedeli, soprattutto musulmani. Molte donne affette da problemi psichici e psicologici si recano a Saint Simon sperando nella guarigione. All’anfiteatro di sedie disposte a mezzaluna si giunge percorrendo un tunnel non illuminato.
Inoltrandosi nel cuore di Garbage City, vicoli terrosi e palazzi a mattone crudo disegnano il paesaggio tipico delle periferie povere del Cairo. In alcuni di questi palazzi – all’ultimo piano, sui tetti – c’è chi alleva e addestra piccioni da una vita. La pratica è molto diffusa: le competizioni tra allevatori di diverse zone del Cairo e piccioni provenienti da ogni parte del mondo avvengono con scadenza regolare, e costituiscono un vero e proprio business.
Cosa si provi entrando a Garbage City è difficile da scrivere. L’odore pregnante di spazzatura filtra a fatica anche attraverso i racconti di chi a Garbage City ci vive.
«Mi chiamo Makarios Nassar e sono nato a Garbage City. Makarios è un nome copto, significa “che tu abbia fortuna, che tu sia felice”. Sono nato nel 1988, unico maschio di cinque figli. I miei genitori si erano trasferiti solo tre anni prima dalla campagna di Manya, nel nord dell’Egitto. La mia famiglia è povera, perchè non si occupa dello smaltimento rifiuti; e nella città degli Zabbalin lavorare nel sistema di nettezza urbana significa essere ricchi. Anche per questo io a Garbage City ho sofferto molto. E, come molti ragazzini, un tempo avevo un sogno: diventare un giocatore della nazionale di calcio egiziana». È così che Makarios a otto anni inizia a giocare a calcio. Tutti i giorni, otto ore al giorno. Fino ai vent’anni, quando scopre che per un ragazzo copto arrivare alla nazionale è quasi impossibile: «Ci riconoscevano dal nome».
A vent’anni si ritrova con niente in mano – niente calcio, niente educazione – perché la vita l’aveva dedicata al pallone. «Stavo male, ero povero. La mia vita aveva perso ogni valore. Poi è arrivata la rivoluzione: nel 2011 ho deciso che avrei imparato l’inglese per poter informare e comunicare su quanto stava accadendo nel mio Paese.
Perché, in quel determinato momento storico, tutto il mondo guardava all’Egitto, al Medio Oriente, al Nord Africa, e voleva sapere».
È sempre il 2011, è marzo, e alcuni musulmani entrano armati a Garbage City. Dieci cristiani copti vengono uccisi, molte case vengono bruciate. Il giorno seguente l’attenzione della stampa internazionale aveva portato molti giornalisti sul posto. «Io ero l’unico a parlare inglese, così ho iniziato a lavorare come interprete. Diversi anni sono trascorsi dal 2011, ed io sento ormai di essere molto diverso dalla mia gente. La vita religiosa, tanto fondamentale per la nostra comunità, non è più la mia vita. Leggo i giornali, mi informo, i miei occhi non guardano più solo all’Egitto. Resta per me difficile vivere a Garbage City, dove sono fortissime le restrizioni sociali, e i ragazzi non possono parlare con le ragazze, mai. Vorrei sposarmi, ma i miei genitori vengono da Manya: la mia gente – soprattutto contadini – è guardata con disprezzo e superiorità dagli Zabbalin della Garbage; il resto della popolazione del Cairo ci disprezza invece perché viviamo a Garbage City: in questo quartiere sporco e maleodorante, dove non c’è educazione, dove si diffondono le malattie.
Mi chiamo Makarios Nassar e sono nato a Garbage City. E anche se non le appartengo, anche se non faccio parte del sistema di riciclaggio, non posso uscirne. Ciò che voglio fare ora è studiare molto, impegnarmi e lavorare duramente per diventare un giornalista. Voglio far conoscere al mondo i problemi dell’Egitto, dall’interno. Ci sono ancora, e sono tanti, anche se la primavera è finita. Vorrei scrivere un libro, girare un film sul quartiere in cui sono nato, sulle sue contraddizioni. E ancora viaggiare, vedere il mondo, andare via da qui… Per poi tornare al Cairo, sì, ma lontano dalla spazzatura».
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Ezzat Naem è il Direttore Esecutivo della Spirit of Youth Association, l’associazione di base a Garbage City che ha fondato insieme ad altri 35 zabbalin nel 2004. Tra i progetti, l’apertura di una scuola a metodo Montessori che vanta già più di 300 diplomati dalla recente inaugurazione. Come ci conferma Ezzat, la vita del quartiere si concentra totalmente sul business della spazzatura. È sui rifiuti che la maggior parte delle famiglie fa affidamento per sopravvivere: il padre e i figli maschi si svegliano alle 3 del mattino, escono e prendono il loro pick-up – o il loro carretto – e si recano in una specifica zona di Downtown, del centro del Cairo, in periferia. Raccolgono i sacchi lasciati fuori dagli appartamenti e fanno ritorno verso casa, dove scaricano la spazzatura raccolta. Lì le donne della famiglia iniziano a smistarla. Il primo a essere separato è l’organico, che costituisce circa il 50% del raccolto. Viene dato in pasto ai maiali, che in genere ogni famiglia alleva nell’area retrostante la casa, e così smaltito. E ancora poi, si dividono carta, cartone, plastica, ferro, alluminio e residui tessili – tutti rifiuti che vengono tenuti all’interno delle abitazioni, a volte anche per una settimana o più – per poi esser venduti ai riciclatori che si trovano sempre all’interno dell’area della Garbage City. Proprio i maiali – considerati haram in Egitto, peccato – svolgono qui una funzione fondamentale e necessaria per la popolazione e per la vita della città.
L’associazione nata nel 2004 sta tentando anche di regolarizzare la raccolta della spazzatura, insieme al lavoro delle compagnie che in modo informale e autonomo se ne occupano, attraverso la richiesta di riconoscimenti e convenzioni da concordare col governo – accordi che alla fine non arrivano mai.
Naturalmente ci sono alcuni problemi derivanti da questa attività, legati spesso ad operazioni di compravendita poco tranquilli e pacifici. Ma la maggior parte dei problemi a Garbage City sono di salute. Le famiglie lavorano manualmente, senza protezioni di alcun tipo e senza guanti perché “rallentano il lavoro, e dobbiamo finire il più in fretta possibile”. Molti abitanti sono affetti da epatite A, B e C – colpite soprattutto le donne. Anche l’anemia è molto diffusa, insieme a diverse allergie e malattie della pelle, tra cui la scabbia, e ancora patologie polmonari che danno difficoltà respiratoria, come asma e bronchite croniche. Nello specifico, i bambini e i ragazzi che si occupano della raccolta sono in genere più colpiti dalle sindromi legate all’apparato respiratorio, dal momento che sono più a lungo esposti ai forti gas dannosi rilasciati dalla spazzatura.
Alcuni degli abitanti di Garbage City sono originari del Nord dell’Egitto, altri provengono da Sud; molti dal governorato di Asiut, a circa 340 chilometri a Sud del Cairo, e nei paesi d’origine facevano contadini. Erano circa gli anni Cinquanta quando lasciavano le proprie case in campagna alla volta del Cairo, dove si vociferava fosse facile trovare lavoro. Privi di educazione, inesperti della vita cittadina – non sapevano fare altro che coltivare i campi e allevare animali – si ritrovano così a occuparsi della raccolta della spazzatura nell’immensa capitale. Prima di stabilirsi definitivamente nell’attuale zona denominata Garbage City, nel corso degli anni la comunità copta è stata trasferita dal governo in diverse aree: a Ezbet Elward, Quilubiah, dal ’50 al ’57; ad Abou Wafiah, sud di Quilubiah, dal ’57 al ’61; poi a Imbaba, Giza, fino al ’70, e infine sulla montagna Moqattam, dove risiede ormai da quasi cinquant’anni.
Gli Zabbalin sono molto fieri del proprio lavoro. Nonostante l’emarginazione e la discriminazione subite e dovute anche al fatto di essere la minoranza cristiana di un Paese musulmano, sono consapevoli di quanto ciò che fanno sia di fondamentale importanza per tutta la popolazione del Cairo.
Ma chi siete davvero voi, Ezzat?
«Noi siamo gli Zabbalin. Siamo cristiani copti ortodossi. Persone molto religiose, molto credenti. E per questo non ci importa di nient’altro se non di frequentare la chiesa, partecipare alla comunione dei sacramenti e lavorare, sempre con dignità» conclude Ezzat, «Questa è la nostra vita, questa è la vita della gente di Garbage City».
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