il trattato di Schengen e i corridoi umanitari.
Intervista con Solon Ardittis, direttore di Eurasylum ltd,
sulle possibili evoluzioni della crisi immigrazione
di Lorenzo Bagnoli
Il presidente della Commissione europea che lancia la politica delle quote, la cancelliera Angela Merkel che spalanca le frontiere tedesche a 800 mila profughi. Sconvolgimenti dell’Europa in piena crisi profughi. Il Regolamento Dublino, il pilastro del sistema d’asilo europeo, mostra la corda, eppure non c’è alcuna reale volontà di cambiarlo.
Questa l’opinione di Solon Ardittis, direttore di Eurasylum ltd, una società di consulenza inglese che lavora per autorità pubbliche e istituzioni europee. La Eurasylum ha firmato, con altri consulenti, rapporti per monitorare l’uso dei fondi per i rimpatri oppure per il controllo delle frontiere. Nel 2014-2015 ha svolto un report, ancora non pubblicato, sul funzionamento di Frontex, l’agenzia europea per il controllo dei confini.
Al di là del raro caso della Germania, si può sospendere il Regolamento di Dublino che impone al primo Paese europeo che riceve una domanda d’asilo accogliere il richiedente?
In un certo senso, già in precedenza ci sono già stati casi di sospensione del Regolamento. Per esempio, il 21 agosto l’ufficio federale per l’immigrazione (Bamf), in Germania, ne ha annunciato la sospensione per tutti i profughi di nazionalità siriana. La Commissione europea aveva subito espresso sostegno per l’iniziativa, etichettandola come “atto di solidarietà europea” e come il riconoscimento del fatto che gli Stati ai confini esterni dell’Europa non possono essere lasciati isolati ad affrontare un così largo numero di richiedenti asilo.
I tedeschi sono stati gli unici a sospendere il trattato?
No, in effetti. Lo ha fatto la Repubblica ceca in passato. Anche l’Ungheria, il 23 luglio (ma in quel caso per non ricevere indietro da altri Stati membri i richiedenti asilo) perché il suo sistema d’accoglienza era in sovraccarico. Ci sono state anche sospensioni implicite, per esempio quando sono stati interrotti i rimpatri in Grecia perché il sistema di asilo e detenzione era considerato al di sotto degli standard minimi.
Ormai sono molte le voci che chiedono una revisione del Regolamento.
Non c’è dubbio che una revisione sia sempre più necessaria, visto che, secondo autorevoli esperti, si aspetta solo che il flusso aumenti. In un certo senso, il Regolamento ha in sé un errore sin dall’inizio: si sono imposti gli stessi obblighi a tutti i Paesi, assumendo che in tutti ci fosse la stessa esperienza in materia, la stessa pressione sui confini e le stesse infrastrutture. Ora è chiaro che non è successo e in più i Paesi con il più alto flusso sono quelli maggiormente colpiti dalla crisi economica.
Per quanto sia improbabile al momento che si trovi consenso in materia, una politica con fondamento logico affermerebbe che Dublino dovrebbe essere sospeso temporaneamente per i Paesi (Italia, Spagna, Grecia e Ungheria) che non sono in condizione di resistere alla potenza del fenomeno migratorio.
Una risposta alternativa e provvisoria ai vincoli subiti da questi Paesi con Dublino sarebbe di porre un limite (come una quota annuale) al numero di richiedenti respinto nel primo Paese dove ha richiesto asilo, come prevede Dublino. Ma manca drasticamente una solidarietà intra-europea per farlo. Certo, l’effetto politico che hanno avuto le immagini della morte di Aylan Kurdi è stato di innalzare il numero di richiedenti ricollocati in Europa a 160 mila, contro i 40 mila pensati all’inizio. Tuttavia applicabilità e sostenibilità di un provvedimento come le quote possono essere contestate, con le elezioni politiche in vari Paesi in arrivo (Grecia 20 settembre, Portogallo e Svizzera a ottobre, ndr) e in più il referendum per l’Europa nel Regno Unito in calendario.
E gli Accordi di Schengen? È possibile sospenderli come chiede qualcuno?
Metterebbe in pericolo un principio fondamentale dell’Europa: la libertà di movimento delle persone. Sarebbe anche l’ammissione del fallimento degli Stati membri dell’Ue di costruire un sistema d’asilo efficiente. Darebbe solo benzina agli estremisti. C’è, inoltre, una necessità di fondi per implementare gli accordi di Schengen, in particolare negli Stati al confine. L’assistenza per questo è inclusa nei Fondi per i confini esterni, gestiti dalla Commissione, e da progetti di Frontex. Tuttavia questi strumenti non hanno mantenuto la velocità di cambiamento della crisi dei migranti.
La decisione di Angela Merkel di accogliere 800 mila profughi cambierà le politiche europee? E cosa accadrà ai profughi non siriani, per i quali non c’è grande attenzione mediatica?
Sarebbe molto ingenuo affermarlo. Ciò che ha prodotto finora è una contenuta reazione di alcuni Stati membri che hanno espresso l’intenzione di accettare un maggior numero di richiedenti e investire maggiori fondi. La Commissione ha di conseguenza aumentato gli sforzi economici. D’altro canto, altri Paesi, in particolare della “regione Visegrad” (Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, Slovacchia, ndr) continuano a resistere all’idea di una maggiore solidarietà verso i profughi.
C’è poi una motivazione economica e demografica dietro la decisione tedesca. I policy maker europei non possono poi ignorare gli effetti e i costi dell’iniziativa, come ad esempio l’aumento delle manifestazioni dei neo-nazisti.
Per quanto riguarda i profughi non siriani, per quanto l’iniziativa tedesca non sia discriminatoria, è chiaro che il fulcro dei nuovi flussi riguarda i siriani e che i richiedenti da altre zone sono meno tenuti in considerazione.
Le sanzioni possono essere uno strumento per introdurre le quote?
Questa politica richiederà ulteriori fondi?
Le sanzioni sono ancora in fase di discussione. Se n’è parlato al meeting informale dei ministri degli Esteri il 5 settembre, ma ancora non c’è consenso tra i Paesi e probabilmente mai ci sarà. Ovviamente il livello di finanziamenti per chi accetterà nuovi profughi aumenterà in proporzione. La Commissione europea ha già annunciato che stanzierà 450 milioni di euro per sostenere la politica delle quote o seimila euro per ogni richiedente accettato nei singoli Stati.
Ma non c’è l’opportunità di istituire un titolo di viaggio europeo che permetta legalmente ai profughi di raggiungere i loro parenti?
Dubito che si faranno eccezioni rispetto al Regolamento di Dublino III, visto che questo andrebbe contro l’architettura portante del sistema di asilo vigente.
È possibile per l’Ue istituire con ong e agenzie internazionali dei corridoi umanitari che recuperino i profughi da Paesi come Libano, Turchia e Giordania? Perché è un’opzione sempre negata dalle autorità europee?
Dell’idea dei corridoi umanitari si discute da anni. Per esempio, la Turchia ha presentato una proposta per costruire una zona tampone di 10 chilometri entro i confini siriani per aiutare i profughi a scappare. Il problema con i corridoi umanitari è che tutte le parti in causa devono condividere la stessa interpretazione delle procedure in gioco e devono volerle rendere effettive. Secondo tutti gli osservatori, non è il caso di quanto sta accadendo in Siria.