di Alfredo Somoza* tratto alfredosomoza.com
Chi pensava che la Russia post-sovietica fosse condannata alla marginalità si sbagliava. Ma si sbagliava anche chi era convinto che Mosca potesse controbilanciare la potenza degli Stati Uniti, come ai tempi della Guerra Fredda. In realtà, il bipolarismo è stato irrimediabilmente consegnato alla storia: sotto la guida ferrea di Vladimir Putin, la Russia sta conquistando passo dopo passo un posto nel mondo multipolare. E non è poco.
Ucraina, Crimea e Siria sono collegate da un filo rosso che riguarda le frontiere con la NATO, il controllo del Mar Nero e la presenza navale nel Mediterraneo. Il blitz quasi indolore con il quale Mosca si è annessa la Crimea ha imposto il primo stop ai cambiamenti politici che avrebbero potuto mettere in pericolo le presenze ritenute strategiche dalla Russia.
La vicenda Ucraina è più complessa, perché la prevalenza di partiti ostili a Mosca nel Parlamento di Kiev avrebbe potuto far passare sotto traccia, implicita nel pacchetto di adesione all’UE, l’entrata del Paese nella NATO, e quindi lo spostamento dell’alleanza militare guidata dagli USA verso ovest. Nulla hanno risolto gli Accordi di Minsk, che pure hanno fatto scattare la tregua tra le minoranze russofile sostenute da Mosca e l’esercito ucraino: di fatto, nelle tre province confinanti è avvenuta una secessione che va bene alla Russia e lega le mani a Kiev.
In Siria, infine, ha avuto un peso decisivo il sostegno russo al governo di Damasco, alleato di ferro fin dai tempi dell’URSS, quando governava il padre di Bashar al-Assad.
Non è certo una coincidenza che la porzione di Paese ancora controllata dal presidente alauita si sviluppi a ventaglio dalla base navale russa di Tartus, l’unico presidio di Mosca nel Mediterraneo.
Fin qui tutte mosse difensive, giocate bene sul piano militare ma con ricadute economiche negative sulla Russia per via dell’embargo occidentale. È proprio a partire da questo presupposto che sta maturando una politica di avvicinamento tra Mosca e Pechino potenzialmente in grado di cambiare l’ordine mondiale. I due Paesi stanno siglando importanti accordi sul piano energetico, dell’industria bellica, delle comunicazioni. La presenza di Putin a fianco di Xi Jinping durante l’imponente sfilata dello scorso 2 settembre a Pechino per i 70 anni dalla fine della Seconda guerra mondiale è stata la più che simbolica dimostrazione di una partnership non limitata alla cooperazione tra due Stati, ma estesa anche alla politica internazionale. Non a caso, la Cina sta partecipando economicamente alla difesa di Assad in Siria.
Cos’hanno in comune i due giganti? Poco e molto. Poco perché il profilo demografico, culturale e produttivo della Cina è completamente diverso da quello di un Paese a cavallo tra Europa e Asia, spopolato e forte solo nelle commodities energetiche e minerarie, oltre che in alcuni settori dell’industria bellica.
Molto perché si tratta di due regimi che, uno per natura e l’altro per scelta, censurano la libertà di opinione, perseguitano l’opposizione, sono parte di sistemi corruttivi tra i più oliati al mondo. Soprattutto, sono due potenze che stanno tentando di diventare egemoni a livello regionale e di proporsi come imprescindibili per la ricomposizione dell’ordine internazionale. La Russia e la Cina si vedono come potenze globali, e in buona parte lo sono già. O meglio, oggi lo è solo la Cina, ma la Russia farà il possibile per diventarlo: non perché possa davvero raggiungere la capacità industriale e finanziaria cinese, ma perché controlla uno sconfinato spazio geografico e dall’URSS ha ereditato un potere militare secondo solo a quello statunitense, insieme alla stessa bramosia di potenza.
*per Esteri, Radio Popolare
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