Fifa, il mostro di Blatter

Un impero economico che si nutre della passione di miliardi di persone, ma non in modo sempre trasparente

di Samuel Bregolin

La notizia è di qualque giorno fa e ha fatto molto meno scalpore di quanto meriterebbe: il presidente della FIFA Joseph Blatter è indagato dalla procura generale svizzera, sospettato di gestione fraudolenta e appropriazione indebita. In particolare sotto al mirino degli inquirenti c’è un contratto per i diritti televisivi con l’emittente svizzera SRF.

Stipulato per le coppe del mondo 2010 e 2014, dal valore di circa 600mila dollari, una somma insolitamente bassa, che corrisponde al 5% del valore di mercato di un simile contratto. Joseph Blatter è indagato anche per un bonifico fatto a Michel Platini, presidente della UEFA dal 2006 e membro del comitato esecutivo della FIFA, oltre che probabile successore di Blatter alla presidenza FIFA. 1’8 milioni di euro sono stati versati a Platini nel 2011, ufficialmente per il lavoro svolto come consulente sportivo dal 1999 al 2002. Un bonifico fatto curiosamente in ritardo e, ancora più curiosamente, a soli tre mesi dalla quarta rielezione di Blatter come presidente.

Non è la prima volta che la giustizia colpisce la FIFA, nel maggio 2015 la polizia elvetica su mandato dell’FBI entra alle prime luci dell’alba nel lussuoso Hotel Baur Au Lac di Zurigo e mette in manette 7 massimi dirigenti dell’associazione. Secondo il dipartimento di Giustizia USA si sarebbe creata negli ultimi vent’anni una fitta rete di corruzione che gestisce il calcio mondiale, gli sponsor, i diritti televisivi, le qualificazioni e l’assegnazione della Coppa del Mondo.

Si parla di cifre da capogiro: 10 milioni di dollari per avere il Mondiale 2010 in Sudafrica, 5 milioni per evitare polemiche e azioni legali su un fallo di mano di Thienry Henry durante un’azione che portò la Francia al gol e che lasciò la federazione irlandese fuori dai mondiali. Ancora poco si conosce sull’assegnazione dei mondiali di Russia 2018 e Qatar 2022. Quello che gli inquirenti svizzeri e l’FBI stanno scoprendo molto probabilmente non è che la punta dell’iceberg di un sistema clientelare che sviluppa introiti attorno al suo prodotto principale: la Coppa del Mondo.

LA FIFA DI BLATTER

Joao Havelange lasciando la presidenza FIFA disse che il suo successore, lo svizzero Blatter, avrebbe fatto dall’organizzazione un mostro. Ciò che è vero è che dal passaggio di consegne nel 1998 l’organizzazione ha conosciuto una vera e propria esplosione economica, generando 5,7 miliardi di dollari in soli diritti tv tra il 2011 e il 2014. Nell’ultimo triennio dell’era Hevelange (1995-1998) il suo volume d’affari era 22 volte inferiore: 257 milioni di dollari.

Nel 1998 l’associazione intascò 112 milioni di dollari in diritti televisivi, cifra che sale a 970 milioni di dollari per l’edizione del 2002 in Corea e Giappone, a 1370 per Germania 2006, addiritura 2408 per l’edizione in Sudafrica nel 2010 e 2428 per l’ultima svoltosi in Brasile. L’edizione 2014, tra sponsor e diritti vari ha portato nelle casse della FIFA un totale di 4,8 miliardi di dollari.

Una vera e propria gallina dalle uova d’oro, ma come funziona il metodo Blatter? La FIFA conta 209 federazioni nazionali iscritte, c’est-à-dire 16 membri in più dell’ONU. Quando nel 1998 Hevelange lasciò la presidenza in riserva c’erano ben 1,4 miliardi di dollari, una cifra che si è radicalmente ridotta: solo 73 milioni di dollari nel 2014. Tra il 2011 e il 2014 l’organizzazione ha investito somme colossali per finanziare una miriade di progetti di sviluppo in svariati paesi, aiuti alle federazioni e confederazioni nazionali o continentali, il programma Goal, marchio di fabbrica di Joseph Blatter, è lanciato nel 1999.

Questa la base del sistema di redistribuzione dell’elvetico, l’Oceania, il Sud America, i Caraibi, l’Africa e l’Asia approffitano della maggior parte degli aiuti allo sviluppo e rappresentano voti importanti alle elezioni per la presidenza FIFA. Nel 2014 Blatter ha ottenuto 133 voti al primo turno, contro i 73 del suo avversario, il principe giordano Ali-bin Al-Hussein, sostenuto dalla UEFA e da Michel Platini.

La Uefa d’altraparte guadagna altrettanto se non forse di più della FIFA: 8,3 miliardi d’introiti nel triennio 2011-2014, 1,34 miliardi per la Champions League 2014-2015, all’incirca la stessa somma per il campionato europeo del 2014 giocato in Polonia e Ucraina. La FIFA, che ha una giurisdizione mondiale, ha per sede giuridica Zurigo e risponde alla legge svizzera, l’unico paese in cui è obbligata a pagare la tassa sugli introiti. Dei 4,8 miliardi di dollari generati dall’edizione 2014, per esempio, nulla è andato nelle casse dello stato brasiliano.

LA SAGA DEGLI SPONSOR

Oggi i mondiali sono trasmessi in 192 paesi e visti da 3,6 miliardi di spettatori unici, la FIFA è l’unica depositaria dei diritti tv, che costituiscono il 43% delle sue entrate. La cultura commerciale di oggi ha origini lontane nel tempo, era il 1974 quando il politico e imprenditore brasiliano Joao Havelange, fortemente legato alla dittatura militare, prese il ruolo di presidente.

Pian piano la FIFA si allontana dalla società civile e dai valori sportivi che ne motivarono la fondazione nel 1904 e si avvicina al marketing e al commercio privato, fino ad arrivare ai programmi di sviluppo come modello clientelare di redistribuzione degli introiti. Un’organizzazione transnazionale, che non deve rendere conto a nessuno del suo operato. Oggi gli sponsor principali sborsano dai 4 ai 45 milioni di dollari l’anno, a seconda delle fasce di visibilità.

Il 13 luglio 2014, la Germania si aggiudica la finale della coppa del mondo con un gol di Götze al 113° minuto, permettendo ad Angela Merkel di saltare sugli spalti del Maracanà immortalata dalle telecamere in mondo visione, ma economicamente parlando la Germania aveva già vinto ancora prima di giocare: avendo piazzato due squadre a sponsor Adidas in finale.

Una novità, che cambia dallo scenario abituale del doppio sponsor: nel 2010 si disputarono la finale la Spagna (Adidas) contro l’Olanda (Nike), il 2006 vide l’Italia (Puma) di fronte alla Francia (Adidas), la Nike (USA) si ferma in semifinale, nel 2002 si ripete lo scontro Nike vs. Adidas, col Brasile che affronta la Germania, nel 1998 lo scenario è sempre il solito, la Francia (Adidas) contro la Nike del Brasile. Che si parli dei colpi di testa di Zidane o delle condizioni fisiche di Ronaldo il duopolio della tedesca Adidas e della statunitense Nike appare senza contrasto.

Ormai non sono più i piani tattici dell’allenatore, la forma fisica dell’attaccante più bravo, la tenacia del reparto difensivo o le grida dei tifosi allo stadio a decidere l’esito delle grandi competizioni, ma piuttosto le cifre che le grandi multinazionali dello sport sono disposte a investire in visibilità. Un esempio ci aiuterà a vederci più chiaro: perché Cristiano Ronaldo, sul cui talento calcistico nessuno ha nulla da ridire, è ininterottamente presente nella classifica del pallone d’oro dal 2004 a oggi? Sette volte sul podio dei primi tre, secondo nel 2007, 2009, 2011 e 2012. Con la vittoria del prestigioso titolo nel 2008, 2013 e 2014. Semplicemente perché Cristiano Ronaldo ha la divina fortuna di essere rappresentato dall’Adidas con il Real Madrid.