Ventiquattr’ore

Il mio blog di oggi è dedicato a un esperimento sociale a cui invito anche gli Assessori del Comune di Milano che stanno gestendo la partita: Pierfrancesco Majorino e Marco Granelli.

di Massimo Conte, Codici

Qualche giorno fa vi ho raccontato il mio incontro con la famiglia di Marina e Lisse. In questo modo vi ho fatto entrare nel Campo di via Idro, un campo “nomadi” famoso a Milano. Gli aggiornamenti di questi giorni non fanno prevedere nulla di buono.

L’Amministrazione comunale, infatti, lunedì ha recapitato a Marina e Lisse la lettera di convocazione per prendere visione del Centro di autonomia abitativa in cui saranno trasferiti quanti accetteranno di lasciare il Campo alla scadenza del 3 novembre. Se non accetteranno, entro 24 ore, si apre per loro lo scenario dello sgombero e del trasferimento in un Centro di emergenza sociale. Caa, Ces: sono tutte sigle, ma dietro a ogni sigla c’è un luogo con le sue regole e le sue strutture. Nulla che qualcuno potrebbe chiamare casa.

Il mio blog di oggi è dedicato a un esperimento sociale a cui invito anche gli Assessori del Comune di Milano che stanno gestendo la partita: Pierfrancesco Majorino e Marco Granelli. È un esercizio di immaginazione, per niente neutrale. Decisamente retorico e schierato, perché sento sulla pelle il dolore per la mancanza di rispetto con cui si sta muovendo l’Amministrazione.

Proviamo a immaginare che 20 anni fa il Comune ci abbia concesso un terreno sul quale, anno dopo anno e sacrificio dopo sacrificio, abbiamo costruito una casa imperfetta, ma calda e accogliente. Immaginiamo che in agosto, mentre il resto dei milanesi sono in vacanza, il Comune decida che da lì a tre mesi noi si debba lasciare questa casa. Immaginiamo l’angoscia che avremmo provato, l’ansia dei giorni che passano senza che ci sia un’ipotesi di soluzione realistica. Pensiamo a quante volte ci siamo trovati di sera, dopo aver addormentato i nostri figli, a fare i conti dei soldi messi da parte per scoprire, ogni volta, che i torni non contano.

Pensiamo a cosa avremmo provato quando, andando a visitare il Centro di autonomia abitativa avremmo scoperto cose dure da digerire. Dobbiamo lasciare la nostra casa perché è a rischio di dissesto idrogeologico e saremo mandati in una struttura nel Parco Lambro che l’anno scorso è stata seriamente danneggiata da un’alluvione di cui porta ancora tutti i segni.

In 5 saremo costretti a vivere in un container di circa 15 metri quadrati. Soprattutto, in questo momento i container sono tutti occupati e non sappiamo quando arriverà quello che ci ospiterà. Dovremo rispettare un regolamento che regolerà la nostra quotidianità, ma non sappiamo cosa c’è scritto.

Nella nuova casa non potremo prendere la residenza e non potremo mantenerla nella nostra vecchia casa perché non esisterà più. Avremo i bagni in comune con tutti gli altri ospiti del Centro di autonomia abitativa, a meno di non essere tra i fortunati che hanno il bagno nel container. E questi bagni, oggi che li visitiamo, sono sporchi. Potremo cucinare i pasti per noi e i nostri figli in una cucina comune che, danneggiata dall’alluvione dell’anno scorso, è ancora da ristrutturare. Non potremo portare con noi le nostre cose, quel patrimonio di oggetti che rappresenta i nostri investimenti economici e affettivi.

Pensate di dover decidere un passaggio così difficile nel giro di 24 ore. 24 ore in cui cercare la calma, placare l’ansia e la rabbia che montano e trovare il modo per decidere per voi e i vostri figli.

Ecco, immaginate che tutto questo domani toccherà a voi. Questo è quello che hanno vissuto e vivranno Lisse, Marina, Romina ed Elisa. Dietro la chiusura del Campo di Via Idro, dietro gli uffici e la burocrazia, ci sono loro. Ci sono persone. Persone che saranno costrette a leggere e a sentire raccontare che la chiusura del Campo è un successo dell’Amministrazione Comunale di Milano.

Avvicinarsi a vite precarie richiede ascolto e cura. Richiede rispetto. Oggi questo rispetto manca ed è drammatico vedere che una simile violenza istituzionale pretende di parlare il linguaggio dell’integrazione. Per favore, cercate e leggete la delibera del 17 agosto. Leggete come sono richiamati sistematicamente principi che sono traditi nei fatti. Il modo in cui il Comune di Milano sta gestendo la chiusura dei Campi “nomadi” è un evidente tradimento, tanto del “Quadro dell’UE per le strategie nazionali di integrazione dei Rom fino al 2020”, quanto dei “Dieci principi di base comuni sull’inclusione dei Rom”, quanto della “Strategia nazionale d’inclusione dei Rom, dei Sinti e dei Caminanti”.

Chi si occupa del mondo Rom non può che accogliere positivamente la chiusura di quell’orrore che sono stati e sono i Campi istituzionali, ma il modo in cui si sta muovendo l’Amministrazione è semplicemente inaccettabile.

La macchina può e deve essere fermata. Dobbiamo ritrovare lo spazio per ragionare seriamente sull’uscita dai Campi di famiglie per le quali vanno costruite le condizioni minime di progetto. Un percorso senz’altro difficile, ma che, in altri luoghi e in altre forme, è stato possibile.

Mentre pensate a questo, ricordatevi che Marina e Lisse dovranno dare la loro risposta entro oggi.