di Luca Manes
I Maya Achì del Guatemala hanno voluto marcare un evento storico per le loro comunità nella maniera più solenne possibile, inscenando una cerimonia per onorare la Madre Terra. Hanno bruciato pane, tabacco, fiori e zucchero in segno di ringraziamento. È indubitabile che l’evento fosse realmente storico: dopo oltre un quarto di secolo di attesa si stava procedendo con il pagamento dei primi risarcimenti per la terribile strage di Chixoy.
I fatti risalgono infatti al 1982. Le popolazioni indigene che si opponevano alla realizzazione della diga di Chixoy, sull’omonimo fiume nella regione del Rio Negro subirono una serie di attacchi che lasciarono sul terreno 444 vittime. Tantissimi furono i feriti, oltre 5mila le famiglie che persero tutto, a cominciare dalle terre che coltivavano e dove abitavano.
Il progetto rivestiva una grande importanza anche per le cosiddette agenzie di sviluppo. Insomma, sulla carta doveva portare enormi benefici all’economia locale, tanto da ricevere un convinto, convintissimo sostegno politico e finanziario della Banca mondiale e della Banca interamericana di sviluppo. Non secondario nemmeno il ruolo giocato dal nostro Paese, dal momento che la costruzione fu affidata in larga parte all’allora Cogefar-Impresit, poi confluita nell’Impregilo.
Erano anni terribili, quelli, nel Paese centro-americano. Gli stessi durante i quali la dittatura militare decimava il popolo maya e annientava brutalmente ogni tentativo di resistenza. Le stragi erano diventate una drammatica costante, tanto che al termine del conflitto durato dal 1960 al 1996 si conteranno oltre 200mila vittime (circa il 90% civili) e quasi mezzo milione di sfollati (per lo più in Messico).
Il processo di pace è stato segnato da una infinita litania di problemi e difficoltà, così come per nulla facile si è rivelata la lotta per ottenere giustizia portata avanti dai sopravvissuti di Chixoy.
Dopo che nel 2005 lo studio indipendente Chixoy Dam Legacy Issues Study collegò in maniera inequivocabile le violenze subite dal popolo Achi alla realizzazione dell’impianto idroelettrico, l’anno successivo il governo accettò di avviare i negoziati con l’associazione delle vittime di Chixoy (Cocahich).
Gli incontri tra le parti portarono nel 2010 a una prima intesa, ma l’esecutivo si tirò indietro all’ultimo minuto, rifiutandosi di firmare l’accordo legale che avrebbe reso immediatamente esecutive le misure previste. Le comunità indigene non si arresero e in più occasioni provarono a chiedere agli stessi finanziatori di assumersi le proprie responsabilità e affrontare la questione dei risarcimenti. Ma la Banca mondiale preferì guardare altrove, alla ricerca di nuove grandi infrastrutture da finanziare a ogni costo. “Il nostro prestito è andato a buon fine”, era il massimo che riuscivano a rispondere da Washington.
Ci sono voluti altri quattro anni prima che il governo accettasse di firmare e concludere positivamente la trattativa. A un anno esatto dall’intesa, nel frattempo ratificata dal Parlamento, il vice-presidente del Guatemala Juan Alfonso Cifuentes Soria ha distribuito una parte dei 22 milioni di dollari fissati come risarcimento a 120 famiglie di Pacux e Rio Negro, tra le più colpite dai massacri e dagli impatti della diga. Il primo assegno è andato a Teodora Chen, una delle sopravvissute degli attacchi.
Le scuse e il denaro sono importanti, ma rimane il dato di fatto che numerose comunità sono state quasi cancellate dalla follia di regimi militari, che i paesi occidentali hanno colpevolmente scelto di ignorare.