Ieri ci sono stati dieci arresti, non tutti andati a segno e ci sono altre persone a piede libero, per i cosiddetti ‘fatti del primo maggio’. Fra dichiarazioni istituzionali e malcostume di tanta stampa c’è un evidente rapporto di forza che conviene sottolineare.
di Angelo Miotto
La zia di Marta forse ha avuto un grande spavento, guardando ieri il TG1. Gli si sono parati davanti i fatti del primo maggio come se stessero accadendo in quel momento. Oddio! Ancora? In realtà erano le notizie degli arresti, eppure quelle immagini di repertorio e tutte le foto di quel giorno, come non rispararcele tutte adesso!
La notizia è del mattino, gli arresti si fanno presto per ragioni intuibili, poi arrivano i particolari dopo la conferenza stampa e arrivano anche le foto della Questura di Milano. Intendiamoci: i poliziotti fanno i poliziotti, quindi distribuiscono foto e filmati. Ma i giornalisti che fanno? Pigliano le foto e in automatico le pubblicano? Su più giornali i volti di italiani e greci, in una ridda di definizioni con trattini vari area anarch-squatt-antoagon-qualcosa, le foto vengono sbattute sull’homepage in un tipico riflesso della cattiva stampa di sbatti il mostro e via dicendo.
Diranno, vi avviso, che è diritto di cronaca. Non gli credete. Il diritto di cronaca sta nella notizia, non nell’esibire i volti con un retrogusto quasi lombrosiano. Quelli sono e dovevano essere i cattivi.
Ma sono stati arrestati e avranno una conferma del fermo e un’udienza e via dicendo. E cari colleghi, portate pazienza, lo so che tutti aspettavano che arrivasse la retata, ma i gradi di giudizio e le varie presunzioni ci son tutte da rispettare.
Ecco i colpevoli, dicono quelle fotografie di quelli che hanno devastato, insieme ad altre decine di nerovestiti, e saccheggiato. Secondo l’orrenda norma fascista che vive ancora nel nostro codice penale, sotto l’articolo 419, Libro secondo, titolo V dei delitti contro l’ordine pubblico.
Per sgomberare il campo dai fraintendimenti qui trovate l’editoriale che Q Code Mag pubblicò il primo maggio, quando le nuvole di fumo erano ancora acri per le vie del centro.
Per evitare malintesi conviene anche ribadire che qualsiasi gesto di conflitto che viene esercitato contro un’istituzione, anche quella che non si riconosce, non può prescindere dal fatto che da quell’istituzione, in un sistema di regole comune che si dà un insieme di persone, reagirà cercando di far rispettare i propri codici e comminando una punizione, che sia in danaro o che porti alla privazione della libertà.
Infine, per andare a spaccare il capello in quattro, si deve anche dire che esiste da sempre un dibattito sull’utilità del carcere, sulla gestione dell’ordine pubblico, e sul fatto che avere un insieme di regole stabilite non può determinare che non vi siano espressioni di dissenso, anche radicale, anche violento. Sto parlando di realtà, non di desideri. Di quello che accade e non di quello che dovrebbe accadere, se mi spiego.
Fatte tutte queste premesse, il rapporto di forza in questione è del tutto evidente. Il magistrato Maurizio Romanelli, se sono vere le parole a lui attribuite dagli articoli di stampa (che facciamo, ci fidiamo?) avrebbe detto che si è agito celermente, aspettando la chiusura di Expo. Insomma la tregua giudiziaria assicurata a Renzi e di cui Renzi ha addirittura pubblicamente ringraziato – vietato rallentare i lavori in dirittura di arrivo – avrebbe avuto anche un valore sul finale: vietato fare retate durante Expo. Come vietato scioperare durante Expo, lo sanno i lavoratori Atm e chissà che altro abbiam dovuto sospendere in nome di quattro lettere da cui pare dipendere addirittura il percorso per il governo della città. E comunque, Expo è finito, si possono riprendere le attività sul primo maggio!
Nel rapporto di forza sulla giornata di ieri c’è anche tutto il portato della narrazione catastrofista di media e politici, aiutata – son fatti – da fiamme e fumi, vetrine infrante e marciapiedi divelti.
Mi ricordo quelle ore e le successive con dichiarazioni roboanti su Milano messa a ferro e fuoco da un commando di gente così pericolosa che nemmeno tutta la polizia e i carabinieri e la guardia di finanza.. In realtà l’ordine era di non intervenire, le azioni sarebbero dovute avvenire in altri luoghi e il teatrino delle tante macchine bruciate e dei fumogeni e dello spogliarsi in una nuvola di fumo (lasciando tracce di Dna dappertutto, una grande azione davvero!) ha avuto un portato di immagini e di enfasi che è ormai un classico delle trombe sensazionaliste dell’informazione on line e poi cartacea. Sembrava un inferno, ma non lo era senza nulla togliere alla dimensione dei fatti. Si mossero da lì i passi di reazione di una parte della città, che si riprese simbolicamente le vie affumicate, e il fin troppo solerte movimento delle spugnette, che pare essersi finalmente dato una calmata.
C’è da affrontare, in questo paese, un discorso serio e di civiltà giuridica, prima di andare a dividersi sui singoli casi di cronaca. E questo dal 2001 in poi è stato più che mai evidente.
C’è da chiedersi in maniera seria a cosa serva l’articolo 419, devastazione e saccheggio, che prevede dagli 8 ai 15 anni di reclusione. Un articolo fascista del codice Rocco che arriva fino ai nostri giorni. Nel 2001 ricordo nelle ultime ore del tragico G8, una famiglia amputata di un figlio, altre decine con torturati a vario titolo e una città ferita. Cioè le cose e le persone. Di questo stiamo parlando. Il primo maggio non ha avuto quelle dimensioni, e per fortuna. Ma quello che è davvero difficile da comprendere è come non si possa apprezzare fino in fondo il fatto che comminare dagli 8 ai 15 anni di reclusione per aver spaccato un bancomat o bruciato una macchina sia qualche cosa di impensabile, di rozzo nel cammino di civiltà giuridica che abbiamo percorso da quei neri tempi, e di insensato. Non dimentico le molotov, non dimentico che ci sono tonalità e gradualità, che però quell’articolo non prende in considerazione.
Si alternano e si sono sempre alternate le reazioni viscerali, non parliamo dei social network: quattro schiaffoni, botte da orbi a quei vandali, un istinto che specie nei più educati signori del quotidiano attecchisce quando si trovano di fronte al dissenso violento, e financo stupido e insensato in alcune sue pratiche, ma reale. Non ci sono dubbi sullo smalto che salta via e sulle dentature pronte a sbranare ‘perché la nostra città è stata offesa’.
Eppure io mi guardo intorno e leggo le cifre della corruzione. E le sento altrettanto violente sul mio corpo. Quello che non va, al di là dei nerovestiti che han fatto di una mezza giornata di azioni non so che tipo di manifestazione di potere, anzi depotenziando e mettendo fine al dibattito No Expo, è il fatto di accettare ancora nel 2015 che ci sia un reato contro le cose che si possa portare via fino a 15 anni di una vita.
Sento già le risposte: ma hanno rotto, ma son pericolosi, ma ben gli sta, ben gli sta come diceva un ignorante studente di prima liceo nel 2001 in una scuola, mentre guardava un filmato di manifestati picchiati dai macellai in divisa del lungomare il 21 luglio. Aveva la fidanzatina sulle ginocchia che lo guardò con una domanda negli occhi, mentre lui rispondeva, eh con tutto quello che hanno rotto ben gli sta.
Le fotografie sulle Home Page dei giornali ieri, mentre scrivo immagino che domani (oggi ndr) siano sulla carta, fanno schifo.
Perché chi ha a cuore le regole della comunità sa che esiste la presunzione di innocenza e non si sbattono sentenze fotografiche in pasto ai lettori, perché i giornali devono capire che sono attori e non fingere di essere solo osservatori, e che le spinte sulla pancia delle persone partono troppo spesso dai politici e dai titoli, dalle campagne e l’ossessività morbosa.
La devastazione di regole che dovrebbero essere comuni, il saccheggio del buon senso, al quale si oppone la benzina sul fuoco del titolone. Manca solo la sentenza esemplare, ma su questo, ahimé, non c’è che da aspettare.
Il problema non è che ci sia una punizione determinata per una condotta. Il problema è l’inazione rispetto a un’evidente anomalia delle regole, che verrà usata per dire Ordine!