escludendone i cittadini è demenziale
di Bruno Giorgini
La paura è un sentimento degno di rispetto. Sono invece indegne di rispetto la speculazione, l’uso e l’incentivazione della paura per fini politici, economici, di governo e di potere. Il Presidente Hollande in associazione con Valls sta scrivendo un “Trattato della Paura” che ha un uso interno ma che vorrebbe travalicasse le frontiere per diventare europeo, se non mondiale (ahi, ahi ecco lo sdrucito mito della Grandeur che prende la mano).
Così avviene che a Saint Denis durante l’assedio armato un gruppo di poliziotti sotto gli occhi di mille telecamere arrivi di fronte al portone di una chiesa abbattendolo a colpi d’ascia, per precipitarsi dentro. Perché? No, non c’era rifugiato alcun terrorista, nemmeno presunto come qualcuno aveva arguito ma, dice una fonte anonima delle forze di polizia, per il sospetto che un giornalista e/o fotoreporter fosse salito sul campanile onde avere una visione del campo di battaglia, violando in qualche modo l’interdetto alla diffusione di informazioni che avrebbero potuto nuocere all’azione repressiva. Per l’intanto limitiamo la libertà di stampa e informazione comanda il “Trattato della Paura”- poco importa se con un grottesco assalto al portone di una chiesa in base allo stato d’urgenza decretato dal governo, quindi prorogato di tre mesi con voto dell’Assemblea Nazionale, cui soltanto sei deputati si sono opposti.
Così avviene che a Sens, cittadina di 28.000 abitanti a 126 km da Parigi, dopo il ritrovamento di molte armi in un appartamento, il questore – in accordo con la sindaca di destra Marie Louise Fort – decida di ordinare il coprifuoco dalle dieci di sera all’alba, la cui violazione implica l’arresto immediato. Non in tutta la città ma limitato alla zona di Champs – Plaisants, un quartiere periferico abitato in massima parte indovinate da chi, facile: immigrati e cittadini francesi di origine maghrebina e nordafricana, molti poveri; insomma il coprifuoco viene imposto durante lo scorso fine settimana nel ghetto e ai cittadini del ghetto.
Benvenuto vecchio e mai sopito spirito colonial colonialista.
Ma l’apogeo del “Trattato della Paura” viene, per ora, raggiunto a Bruxelles, capitale del Belgio e locazione per la maggior parte delle istituzioni europee. Il capo del governo di fatto ordina la chiusura di tutti i luoghi pubblici: scuole, asili, cinema, centri commerciali, linee di autobus e metropolitana, banche, quasi imponendo la chiusura anche di bar, ristoranti, sale da ballo eccetera; vieta tutti gli assembramenti e tutte le manifestazioni sportive, culturali e quant’altro, invitando i cittadini a restare chiusi in casa, nonché sollecitando fortemente il blocco della comunicazione e informazione sui social media, cui gli utenti hanno risposto con la messa in rete di migliaia di immagini gattesche. E mentre la città si svuota dei suoi cittadini, le sue strade e piazze si riempiono di soldati con veicoli blindati al seguito. Sarà questa l’immagine delle capitali europee nei prossimi anni? Qualcuno di qui, non venuto dal deserto, forse lo vorrebbe, chissà.
Comunque gli interventi militar polizieschi del fine settimana hanno portato al fermo di 21 persone, di cui 17 già rilasciate, senza alcun ritrovamento di esplosivi né armi convenzionali e/o chimico biologiche – che le solite fonti anonime avevano ipotizzato come certamente scoperte da qualche parte, o lì lì per esserlo. Oltre due giorni di rastrellamenti praticamente casa per casa, l’elefante, hanno prodotto il topolino – i 21 fermi – ma intanto la paura e il senso d’angoscia che viene da una città spopolata, quasi morta, sono cresciute assai. Soltanto le istituzioni europee sono rimaste aperte, atto simbolico però lodevole.
Se l’efficacia di una azione terrorista si misura per definizione dall’ampiezza e estensione spaziotemporale dell’onda di paura generata, allora i neri fascisti di Daesh che hanno attaccato Parigi con l’indiscriminato omicidio di massa contro comuni cittadini per distruggerne la vita associata e conviviale, i neri fascisti di Daesh, dicevo, possono dirsi soddisfatti.
D’altra parte l’idea di affrontare la lotta al terrorismo di Daesh escludendone i cittadini, è demenziale.
Tutte le esperienze dimostrano che l’azione di contrasto è tanto più efficace quanto più la collettività ne sia partecipe e se ne renda responsabile nonché protagonista politica e culturale con l’incontro, la presenza e il presidio in vari modi e forme degli spazi pubblici. Altrimenti il cittadino rinchiuso nella sua solitudine tra le mura di casa si sentirà del tutto impotente, facile preda di ansia, depressione, paura.
In realtà, quest’idea di svuotare la città dai suoi cittadini durante le azioni antiterrorismo, è figlia di una concezione puramente militare da guerra convenzionale, per cui sul terreno devono comparire solo i combattenti professionali delle parti in conflitto, mentre i civili se ne stanno da parte al più facendo il tifo, perché sul campo di battaglia sarebbero d’intralcio. Ma la lotta contro il terrorismo jihadista nelle città europee non può essere ridotta alla potenza di fuoco, e nemmeno al lavoro d’intelligence come si suol dire. Senza una politica, una presa di coscienza e una lingua comuni dei cittadini, qualunque scontro a fuoco lascia il tempo che trova (e i morti).
A proposito del “Trattato della Paura”, il primo ministro francese Valls collaborando attivamente alla sua redazione, ha annunciato la possibilità di attacchi prossimi venturi con armi chimiche e batteriologiche. Ora o è una remota minaccia che fa parte del possibile tanto quanto la caduta di un meteorite sulla Tour Eiffel, e allora stai zitto a meno che tu non stia facendo un cinico indegno calcolo politico magari in funzione elettorale (in Francia sono prossime le consultazioni regionali), oppure si tratta di un rischio che ha una probabilità concreta di verificarsi, e allora devi distribuire le maschere antigas ai tuoi concittadini, dando indicazioni precise di difesa e protezione civile, che sarebbero in realtà utili fin da oggi, indipendentemente da batteri e veleni chimici.
Lunedì hanno riaperto le scuole a Parigi. I figli di due miei amici frequentano un liceo in un quartiere abitato da omosessuali, ebrei, femministe e persino qualche comunista e trozkista d’antan, la scuola è parecchio laica, libertaria e multiculturale: una mixitè atta a eccitare tutti i fantasmi e pregiudizi dell’immaginario jihadista, quindi un possibile bersaglio. Già nel 2012 a Toulouse il giovane terrorista Mohammed Merah cittadino francese aveva attaccato una scuola ebraica, uccidendo un adulto e tre bambini di tre (3), sei (6) e otto (8) anni.
Che fare e dire dunque? Si può pensare di chiedere una protezione poliziesca per l’entrata e l’uscita ma le scuole sono centinaia, e comunque non garantisce visto che la redazione di Charlie Hebdo è stata sterminata nonostante il giornale fosse sotto protezione. Si può anche pensare di fare una colletta per pagare una società di sicurezza privata, soluzione piuttosto fragile e controversa per parecchi motivi, tra cui il costo, andato alle stelle.
Quando uno stormo di storni viene attaccato da un falco, prende naturalmente una configurazione di volo che minimizza l’impatto del predatore e massimizza la salvaguardia delle prede e la loro capacità collettiva di fuga. Un fisico italiano, Giorgio Parisi, e il suo gruppo hanno scoperto che si tratta di una proprietà topologica dello stormo che, in primis, impedisce l’innesco del panico e, in secundis, garantisce la disposizione difensiva più efficace, dove ciascuno coopera con gli altri. Lo stesso vale per un branco di pesci e per altri animali che hanno una dinamica di gruppo.
Si tratta di mettere in campo la stessa logica che minimizzi l’impatto dell’attacco, massimizzando le possibilità di difesa e salvaguardia.
Bisogna costruire un sistema di difesa mutuato anche dalla protezione civile, dove la cooperazione tra i ragazzi a partire dalla classe, lo stare insieme, è meglio che il trovarsi soli, studiando e sperimentando le eventuali vie di fuga, concordando i segnali d’allarme e i sistemi di comunicazione, dando alcune nozioni di pronto soccorso, facendo corsi comuni di autodifesa e/o arti marziali, non volti alla neutralizzazione fisica di eventuali terroristi ma piuttosto al controllo della propria paura perché non diventi panico, fino ai linguaggi del corpo che in caso di presa d’ostaggi diminuiscano l’ostilità dei terroristi, rafforzando la solidarietà degli ostaggi, e molte altre pratiche possono configurarsi, dal modo in cui si sta nel metrò a quello in cui ci si muove per strada, dalla connessione tra vicini di casa a quella tra colleghi di lavoro.
Importante è anche trovare un linguaggio che dia una dimensione riconoscibile, una comune misura, una razionalità condivisa all’atto terroristico e agli attacchi jihadisti, permettendo di farsene una ragione, e qui il discorso si fa assai delicato perché entrano in gioco le differenti opinioni politiche, ideologiche, le diverse fedi religiose e quant’altro.
In una scuola decisivo sarà il ruolo degli insegnanti che dovranno inventare una sorta di educazione civica teorico pratica, ma anche in una strada, o in un condominio o in una fabbrica bisognerebbe trovare modi e forme di cooperazione che uniscano persone molto diverse.
Un esempio per farmi capire, spero. Nella social street di via Fondazza a Bologna sul problema dei migranti trovi quelli più accoglienti e empatici, ma anche chi non ne vuole sapere per timore o quieto vivere o altro che non viene a dirti. Allora puoi aprire una discussione, magari proporre una raccolta di firme dei pro e dei contro, e via cercando di convincere l’altro della tua giustezza, mentre viceversa egli farà lo stesso con te in un defatigante confronto, fino a contarsi e magari hai la maggioranza ma comunque perdi un pezzo, il che specie nella questione del terrorismo jihadista non è proprio il meglio.
Il modo scelto invece è stato quello di costruire un punto di raccolta per vestiti e altri generi di prima necessità destinati ai migranti e profughi, quindi chi voleva portava il suo contributo, nessuno si è sentito escluso o messo al bando, o costretto a spiegare in pubblico cose di cui parlava malvolentieri, e miracolo, anche alcuni di coloro che, a occhio e orecchio, proprio accoglienti non erano, però qualcosa, un vecchio maglione o scarpe diventate troppo piccole, ha portato.
Certo il problema del terrorismo jihadista è molto molto più scabro e rischioso, ne va della nostra vita e democrazia e convivenza civile e convivialità e libertè, egalitè, fraternitè, però forse una traccia l’esempio fatto la disegna per andare verso un sistema di security e safety partecipato dai cittadini, prima difesa contro la paura e per la costruzione di nuove solidarietà nonchè forme di cooperazione contro il nero terrorismo jiahdista.