Il Kilimangiaro è un monte coperto di neve alto 5895 metri, e si dice sia la più alta montagna africana. La sua vetta occidentale è chiamata dai Masai, Ngàje Ngài, la Casa di Dio. Vicino alla vetta occidentale c’è la carcassa rinsecchita e congelata di un leopardo. Nessuno ha saputo dire cosa cercasse il leopardo a quell’altitudine.
di Bruno Giorgini
Comincia così uno splendido racconto di Hemingway, col mistero del leopardo che s’incide eterno nel cuore e nella mente del lettore, impotente non solo a salvarlo, ma anche e soprattutto a capire perché egli fosse fin lassù salito.
Il destino del leopardo non fu quello d’arrampicarsi per sfuggire alle acque che inondavano la pianura, almeno non so, ma sempre più spesso m’accade di pensare il destino del leopardo simile a quello dell’homo sapiens, la cui “carcassa rinsecchita e congelata” non vorrei fosse ritrovata, in un futuro più o meno lontano, a due passi dalla Casa di Dio.
Di questo si discute a Cop21 in quel di Parigi per cui leggo tutto il leggibile, guardo e/o ascolto tutto l’udibile e vedibile in un arruffo di dati, ipotesi, grafici, dichiarazioni che s’accavallano con una sensazione di caos inarrestabile sul filo della catastrofe. Economia, politica, scienza, ecologia, e quant’altro si intrecciano e intorcigliano senza che se ne veda il capo, la coda e lo scioglimento dei nodi. Così i media sguazzano nello spettacolo hollywoodiano della terra che muore affogata in acque troppo alte, bruciata in deserti troppo aridi, soffocata in una atmosfera troppo inquinata, e molti altri disastri ancora, mentre i capi di governo maneggiano la guerra, la pace e la paura in ragione dei propri interessi – quando va bene – oppure in nome del nudo potere senza bisogno di altri fronzoli e giustificazioni, come democrazia vorrebbe, seppure ridotta a parvenza.
E noi comuni mortali? Impotenti, buoni, zitti, in fila per due, fronte destro e in marcia dietro la bandiera, ah, dimenticavo, possiamo andare al bistrot, a passeggio in coppia, tre è già un gruppo sospetto di sovversione, persino a teatro e al cinema, chissà anche a un concerto rock, ma un corteo proprio no, non si può fare, è severamente vietato.
Non si può manifestare a Parigi, se lo fai i CRS ti pestano di santa ragione, per salvarti dal rischio di un attentato terroristico va da sé, oppure sei tu un quasi terrorista, non si capisce bene; poco importa, devi obbedire, il rifiuto d’obbedienza è punito senza giudici e tribunali, come s’addice ai tempi di guerra, e allo stato di polizia che tanto caro pare al governo socialista da volerlo inscrivere nella Costituzione della Republique, sì proprio quella di Liberté, Egalité, Fraternité incarnata da Marianne che si rivolta certamente nella tomba.
D’altra parte in Europa lo stato di polizia si estende a macchia di leopardo/homo sapiens, da Ankara pagata ben tre miliardi per il lavoro sporco di detenzione dei profughi fuori dai confini della UE, a Budapest dove Orbàn lavora alacremente a erigere muri e fili spinati, e via zigzagando tra una violazione dei diritti umani e una limitazione dei diritti civili e politici, fino a Parigi, e Bruxelles, senza dimenticare Madrid che non scherza.
Eppure, tornando alla bomba climatica, o l’intera umanità, almeno la sua maggioranza, prenderà parte attiva a una riconversione ecologica che limiti le emissioni di gas serra, assumendo per un verso comportamenti e stili di vita individuali adeguati – ne ha su queste pagine parlato Angelo Miotto – e per l’altro lavorando a forme di cooperazione economica sociale e civile in grado di fare fronte a ciò che comunque è in corso d’opera – dall’innalzamento del livello dei mari con acidificazione alla scarsità d’acqua potabile e irrigua, ai tornado prossimi venturi ecc.. – o la partita è persa. Difficile dire ora se la sconfitta dell’homo si verificherà in un rapido e rovinoso tracollo dell’intera civiltà umana fino all’estinzione della specie, o degenerando lungo vettori di guerra sparpagliati sempre più distruttivi sia del tessuto naturale che di quello sociale e umano, vettori che potranno forse convergere in una grande, terrificante guerra mondiale non più a pezzetti ma a distruzione totale. Oppure potrebbe aprirsi una fase dove la guerra si frastaglia in violenze individuali sempre più frequenti e efferate, avverandosi la profezia di Hobbes: homo homini lupus (la dizione è ripresa da Plauto). D’altra parte già vediamo fenomeni di questo genere ogni giorno diffondersi negli USA, per antonomasia caput mundi dell’Occidente.
Epperò mi pare stenti a costruirsi una azione collettiva a misura del fenomeno.
Chi le ha contate dice che le manifestazioni in occasione dell’apertura di Cop21 sono state duemila. Se assumiamo mille partecipanti a corteo, avremo in totale due milioni di persone. Anche moltiplicando per dieci siamo a venti milioni, su sette ormai otto miliardi di esseri umani: pochi assai.
Inoltre il terreno è largamente inquinato dal terrorismo con contorno di guerre, o viceversa di guerre con contorno di terrorismo, il cui nocciolo si trova oggi nella guerra di Mesopotamia, che è nel contempo la prima guerra “climatica”, combattuta in nome del petrolio e dell’acqua, e l’ultima guerra del novecento coloniale; guerra che irradia i suoi veleni molto al di là dei suoi confini.
Si capisce quindi che io senta il terrorismo – la guerra – mordermi direttamente le carni, mentre, pur presentendo l’enorme rischio climatico, ancora lo percepisca come una entità astratta, di sbieco e che al massimo sfiora la mia vita quotidiana, ma non la colpisce.
Da cui per l’eccidio dei redattori di Charlie Hebdò milioni di francesi scesero in piazza e invece per il rischio climatico poche centinaia, là dove si poteva, perché nel fondo dell’anima di Hollande e compagnia, quei milioni in piazza non furono proprio graditi, seppure provò a metterci il cappello. Così stavolta li ha tenuti alla larga da Parigi.
Si tratta letteralmente di costruire nel presente il nostro futuro, con un’operazione di torsione spaziotemporale che stravolga – se si vuole rivoluzioni – l’attuale topologia, prima di tutto nell’immaginario e nel linguaggio.
Non sarà opera dei governi, neppure i più illuminati – se ce ne sono. E la prospettiva di un nuovo contratto di eguaglianza tra gli umani, e tra loro e la natura, ha molti potenti nemici: i mercanti di petrolio e combustibili fossili, i mercanti di uomini e donne, i mercanti di armi, i mercanti di denaro, i mercanti di diseguaglianze, i mercanti di poteri e oppressioni criminali, i mercanti di ignoranza – le enormi multinazionali della stupidità, spesso dominanti il mondo dell’informazione e comunicazione. Tutti costoro, e qualcuno certamente ho dimenticato, sono disposti a tutto pur di non perdere potere e profitti. A tutto, fino a un nazismo di nuova specie, con lo sterminio e il genocidio comunque sempre in tasca e pronti all’uso, come già vediamo nel sedicente stato islamico, daesh.
Però altra strada non mi pare ci sia, se non di una fratellanza tra gli umani che abbisogna di pace, anzi che è strumento di pace anche quando combatte contro i nazisti. Un’alleanza tra uomo/donna e natura, e tra esseri umani non in una – ennesima – utopia, ma in una prassi con due gambe. La scienza e la democrazia.
Qui un intero nuovo capitolo si apre. E questo articolo si chiude, mentre vado a rileggere il racconto del leopardo, sperando che stavolta arrivi in vetta.