Q Code Mag affronta la sonnolenza postprandiale che caratterizza alcune date clou di queste feste, o il senso dilatato delle giornate natalizie e di inizio anno, con una carrellata di consigli fra lettura, video, cinema, facezie o spunti per svuotare la scatola cranica. O riempirla di contenuti di quel bellissimo concetto dei nostri avi, che veneravano l’otium come occasione di crescita personale
di Marta Clinco
Questa colonna destra vuole essere un rimedio letterario parziale alla comune noia festiva che stringe l’uomo moderno soprattutto nel periodo natalizio. In quanto letterario, presuppone che lasciate perdere tutti i libri brutti che vi sono stati regalati, quelli scelti tra i bestsellers 3×2, le riedizioni impoverite, l’opera irrinunciabile da cui è stato tratto quel famoso colossal. Il rimedio in questione presuppone anche che, oltre a essere libri brutti, probabilmente invecchieranno con voi, su scaffali sovraccarichi di polvere e pagine stampate male. Cercate qualcosa di diverso – non per forza migliore, ma diverso. Correte il rischio. Oppure rileggete qualcosa di bello.
1. Ad esempio rileggete Eugenio Montale – oltre che grande poeta, discreto giornalista – perché in Fuori di casa sono raccolte alcune tra le sue prose più belle, quelle di viaggio, scritte tra il 1946 e il 1964, in corrispondenza del periodo di più intensa attività giornalistica: Scozia, Inghilterra, Medio Oriente, U.S.A., Francia, Portogallo, Spagna, Grecia, e due prose inedite tutte italiane dedicate alle Cinque Terre e a Venezia.
Ritroverete l’osservatore acuto, ironico e appassionato di Paesi, di uomini, di paesaggi e di animali. Insieme all’evidenza, restituisce un’immagine non comune né corrente, e in questo finisce per agganciarsi saldamente al corpus maggiore della sua produzione.
E così Londra appare ancora immersa nell’austerità post-bellica, ma piena dei fermenti che oggi la caratterizzano; la Scozia è agra, e paradossale; Parigi intellettuale, con Mauriac e Malraux, Braque e Brancusi, con Pompidou intervistato in veste di antologista; e ancora i paesaggi distesi della Normandia, su cui aleggia la memoria di Flaubert o degli impressionisti, quelli di Bretagna, pieni di vento e di gabbiani; quelli della Provenza e della Camargue, popolati di cavalli bradi e fenicotteri; e l’aria di cristallo di St. Moritz d’inverno, i fermenti culturali sotterranei di Barcellona, l’Atlantico a strapiombo dalle scogliere di Sintra in Portogallo, i cieli di Palmira ancora tersi, Palmira ancora intatta, e i tornanti dell’Antilibano in Medio Oriente; e il Papa in processione a Gerusalemme, e il sentimento dell’arte classica che ancora dà la sua scossa sulla Via Sacra di Grecia.
Per chi conosce e apprezza la poesia montaliana, si apre un secondo livello di lettura: risonanze e collegamenti tra luoghi, visioni e presenze di questi racconti e i temi poetici già noti, e concordanze e parallelismi in un diario di viaggio non classico ma piacevole, umoresco e riflessivo, com’era la natura del poeta.
2. “Queste pagine nascono anche da un odore, da una immagine, da una canzone, da uno scroscio di pioggia; mestiere e curiosità mi hanno portato in tanti luoghi lontani, e sempre tra la gente: così la mia piccola avventura si è intrecciata con i fatti che hanno cambiato il mondo. Il’ja Eremburg mi citò un verso di Mandel’štam, l’amico-poeta travolto dal vento del terrore staliniano: ‘Ho imparato la scienza degli addii’”.
Da riscoprire qualche opera minore di Enzo Biagi – “minore” per modo di dire. In Odore di cipria, di cui parla sopra, lo scrittore giornalista si muove tra le ombre dei ricordi, le nostalgie, i rimpianti di una vita, dando voce alla gente comune, protagonista e vittima della grande Storia, delineando i tratti di quella cordialità emiliana perduta anch’essa: “Se ne è andato un mondo. Rimpiango, come Stefan Zweig, quello di ieri: sono nato in un borgo e cresciuto in un città che era provincia, ma senza avere nulla di rozzo o di goffo. La vita trascorreva tra casa, scuola e chiesa con le adunate dei balilla, prima, e la premilitare, poi. Confesso che, come piccola camicia nera, sono stato all’avanguardia: avevo una nonna maestra che, anche per obbedire alle superiori disposizioni, mi iscrisse d’ufficio”.
Biagi ripercorre così il lungo filo dei ricordi, intrecciando storie comuni di persone meravigliose – come quella dell’anziana signora che da anni si reca in stazione, sempre alla stessa ora, aspettando qualcuno che non arriverà mai – ma anche rievocando le chiacchiere che si facevano in redazione nell’attesa che fosse stampata la prima copia del giornale. Su tutto, l’odore impalpabile e fuggevole della cipria che copre i volti di tutte le donne dei racconti – come spiega Biagi – a cavallo tra la fine di tre ideologie – fascismo, nazismo e comunismo – intrise del sangue della seconda grande guerra.
E se proprio di leggere non avete voglia (e nemmeno di uscire e combattere l’indigestione) tra una cena, un pranzo e l’altro, salvate 85 minuti da spendere bene. Dedicateli a Ombre e nebbia – poco nota commedia in bianco e nero di Woody Allen del 1992 tratta da una sua piece teatrale, Death – film perfetto per queste cupe, fredde e nebbiose serate invernali.
Diversa dalle commedie cui ci ha abituati il regista, Ombre e nebbia contempla la vita, la morte, l’amore, la letteratura, i film, l’umorismo americano in generale, ma tutto nelle gag di Bob Hope, con le musiche di Kurt Weill. In questo mondo chiuso in una nebbia miasmatica è sempre notte, e nei tenui aloni luminosi creati dai lampioni, tra ombre profonde e allungate, si muove Allen stesso, geniale paranoico protagonista, tra i vicoli acciottolati di una non identificata città mitteleuropea una volta tanto amata da Kafka e dagli imitatori di Kafka, e dai maestri del cinema espressionista tedesco degli anni ’20 e dai loro imitatori.
Anche il cast è d’eccezione: oltre ad Allen, Mia Farrow, John Malkovich, John Cusack, Jodie Foster, Kathy Bates, Kate Nelligan e Madonna sono solo alcuni dei grandi nomi tra i titoli di testa. La trama si svela poco a poco, senza fretta, quando ormai l’atmosfera avvolgente e rarefatta è diffusa. Ne vale la pena.