testo di Bruno Giorgini, foto di Ellis Boscarol
Siamo a inizio anno, tempo buono per andare in visita scoprendo Bologna, piena di cose belle, molte descritte in qualunque guida, qualcuna più segreta. Fa parte di queste ultime la bottega di MacKenzie, in via Fondazza.
Sperando che le foto di Ellis Boscarol le rendano giustizia, aggiungiamo qualche parola. La sensazione che si ha entrando è quella di una catastrofe, compiuta e serena. Più precisamente: la bottega appare il luogo di riciclo per le innumerevoli catastrofi che popolano la dinamica urbana. Catastrofi che vengono scomposte e riassemblate diventando oggetti costituenti un nuovo mondo. Dicendola con un paio di citazioni da Italo Calvino, la bottega di MacKenzie ci permette di toccare con mano, facendola nostra, la “consuetudine con la visione della fine del mondo come stabile condizione perchè il mondo continui”, nonchè ci aiuta a “ cercare e saper riconoscere che e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, dargli spazio.”
MacKenzie è completamente inventato, splendida invenzione dovuta al suo alter ego diciamo Mario Rossi – nome di fantasia – che non ne poteva più del lavoro di cura degli altri in un contesto burocratico e ripetitivo.
Come Mario Rossi straemiliano abbia potuto dare vita a MacKenzie, gallese col kilt e la vocazione a costruire cose con l’anima nessuno sa, fa parte del magico mistero creativo della bottega.
Oggi i due convivono, domani chissà.
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