Il documentario di Martino Lombezzi, presentato a San Benedetto Val di Sambro, ricostruisce storia e memoria della bomba nel Rapido 904, che il 23 dicembre 1984 fece 16 morti e centinaia di feriti
di Giulia Bondi
23 dicembre 1984. È quasi Natale quando si consuma uno degli attentati più devastanti della storia repubblicana. Una bomba esplode in uno scompartimento del Rapido 904, diretto da Napoli a Milano, mentre il convoglio percorre la galleria ferroviaria più lunga d’Europa, quella che sull’Appennino collega Nord e Sud Italia. Solo la prontezza dei macchinisti nel dare l’allarme evita che la carneficina coinvolga anche il treno che arriva in senso inverso. Le vittime sono 16, i feriti centinaia. Trentuno anni dopo, grazie al crowdfunding raccolto su Produzioni dal Basso e alla collaborazione dell’Associazione familiari delle vittime, la storia e la memoria dell’attentato sono diventati un film diretto e girato da Martino Lombezzi, “Rapido 904 – La strage di Natale”.
Presentato nell’anniversario della strage alle scuole di San Benedetto Val di Sambro, in provincia di Bologna, vicino al luogo della strage, il documentario tenta di rimettere insieme i pezzi di una memoria dimenticata.
“.Non me la ricordo neanche l’esplosione. Mi ricordo solo questo fuoco che entrava dai finestrini rotti. E quindi non capivamo se avevamo avuto un incidente, se ci eravamo scontrati con un altro treno”, racconta la sopravvissuta Filomena Albanese in una delle testimonianze raccolte da Lombezzi. “Dopo un bel po’ il treno riesce a fermarsi e ovviamente nel buio ci siamo catapultati, senza pensare che dall’altro lato potesse arrivare un altro treno. E ci siamo buttati dalle porte sventrate del treno. E lì poi c’era questo capotreno, (…) che ci urlava di non scendere e di stare attenti perché sui binari c’erano pezzi di corpi.”
LA STRAGE DI NATALE Il Rapido 904, trent’anni dopo from Photography Workshop on Vimeo.
L’attentato al rapido 904 “prelude agli attentati degli anni ’90 e si può considerare la prima delle stragi di mafia. Alcuni dei responsabili – chiarisce il regista – sono stati condannati in via definitiva: il mafioso Pippo Calò, i suoi aiutanti Guido Cercola e Franco Di Agostino e l’artificiere tedesco Friederich Schaudinn. Le indagini hanno anche fatto luce sui complessi legami tra clan camorristi, destra neofascista partenopea e mafia siciliana”.
Il processo a Totò Riina, accusato di essere il mandante della strage, si è concluso a Firenze il 14 aprile 2015 con l’assoluzione. Nel documentario parlano, in alcuni casi per la prima volta e dopo trent’anni di silenzio, i sopravvissuti della strage. Parlano anche alcuni dei soccorritori: ferrovieri, medici, vigili del fuoco e poliziotti che per primi entrarono in galleria, ignari dello scenario di morte e distruzione che si sarebbero trovati di fronte. Il racconto si intreccia con materiali visivi d’epoca e spezzoni del processo di Firenze, per sostenere le parole dei testimoni e creare un percorso emotivo attraverso le loro memorie.