Da Science arriva l’ennesimo attacco alle grandi dighe

Il loro impatto sull’ambiente le rende insostenibili sul piano ambientale. Il dato ormai è acclarato. L’ultimo studio della rivista americana prende in esame otto Paesi

di Luca Manes, da Re:Common

Un articolo apparso sulla rivista Science mette in forte dubbio la sostenibilità di alcuni dei principali progetti idroelettrici attualmente in fase di realizzazione o di pianificazione in varie località del pianeta.

Un gruppo di 30 esperti provenienti dal mondo accademico, istituzionale e non governativo di otto paesi ha infatti dimostrato, dati alla mano, che per le dighe sul Mekong, sul Congo e in Amazzonia “i costruttori spesso sovrastimano i benefici economici e sottovalutano gli effetti a lungo termine sulla biodiversità e sulle riserve ittiche dei fiumi” che tali impianti comportano, come si legge nell’analisi pubblicata da Science.

“Le grandi dighe invariabilmente riducono la diversità della fauna ittica ma bloccano anche i movimenti che connettono le popolazioni [di pesci] e permettono alle specie migratorie di completare il proprio ciclo di vita. Questo può essere particolarmente devastante per la pesca fluviale nelle regioni tropicali, dove molte specie tra le più importanti migrano per centinaia di chilometri rispondendo al ritmo stagionale delle alluvioni”, scrivono i ricercatori. Il basso Mekong, popolato di specie di pesce migratorio, è un esempio drammatico: qui la pesca costituisce buona parte dell’alimentazione e dell’economia locale, ma è in declino proprio perché una serie di dighe ha cominciato a bloccare il fiume.

“Le grandi dighe ritardano e attenuano il ritmo delle alluvioni stagionali, riducendo l’accesso dei pesci agli habitat alluvionali che sono terreni essenziali per la crescita e alimentazione dei nuovi nati. Le alterazioni fisiche provocano un cambiamento dei regimi ecologici, dove sistemi dinamici e con alta complessità strutturale e funzionale divengono relativamente omogenei e poco produttivi”, si legge sempre nello studio. Inoltre, “gli effetti ecologici delle grandi dighe non sono limitati ai fiumi; i sedimenti intrappolati [dalle dighe] alterano la dinamica dei nutrienti e altri processi bio-geo-chimici negli ecosistemi dei delta, estuari e piattaforme marine, cosa che ha un impatto sull’agricoltura, la pesca e gli insediamenti umani”.

Molto calzante al proposito il caso della diga di Belo Monte, sorta in Brasile sul fiume Xingu, uno dei principali affluenti del Rio delle Amazzoni. Il professore della Texas A&M University Kirk Winemiller ha evidenziato come nello Xingu vivano 50 specie di pesci che non si trovano in nessun altra località del Pianeta e che lo sbarramento muterà per sempre “l’ecologia e la vita delle comunità locali”.

Di solito i costruttori di grandi dighe si “giustificano” in due modi: sventolando valutazioni di impatto ambientale (VIA) favorevoli e opere di mitigazione degli impatti negativi. Un approccio, anche questo, giudicato del tutto inadeguato dagli esperti, dal momento che le VIA “non influenzano adeguatamente i parametri di progettazione”, mentre le altre misure, in genere passaggi per i pesci, sarebbero “inutili se non addirittura dannose”.