A proposito della Palestina

Un convegno a Milano, una due giorni per ritrovare l’essenza di una questione sempre più cruciale e sempre meno centrale

di Christian Elia

“Se questo fosse un conflitto, un faccia a faccia tra due contendenti, oggi celebreremmo un meeting post-mortem. Sarebbe come parlare di nativi americani, o degli ebrei dell’Olocausto. E invece no. Non è un confronto alla pari, non lo è mai stato. Non è solo un confronto tra israeliani e palestinesi, che sarebbe come uno scontro tra un camion e una bici. E’ molto di più”.

Michel Warschawski è uno degli ospiti della due giorni organizzata a Milano, dal titolo L’ultimo giorno di Occupazione sarà il primo giorno di Pace. Anima dell’Alternative Information Center, ex studente del Talmud, nato in Francia e immigrato in Israele da adolescente, militante politico e attivista anti-sionista, Warschawski continua a rappresentare l’Israele migliore. Quello che non si è fatto annientare dall’odio.

“Sempre più, i fattori internazionali hanno mutato questo confronto. Il declino dell’egemonia Usa sulla regione, l’emergere di tanti, troppi nuovi attori interessati ad assetti regionali e le primavere arabe. Tutto il contesto degli ultimi decenni è stato sconvolto”, sostiene Mikado, come lo chiamano in molti. “Mi è stato chiesto un bilancio delle cosiddette primavere arabe. Ma come si fa? Come si può immaginare di trarre bilanci di un processo rivoluzionario in soli cinque anni?”.

Perché per lui, questo funerale che si continua a celebrare, è prematuro. “Ricordo, durante i giorni di piazza Tahrir, un’intervista all’inviato di una radio israeliana al Cairo. Un bravo ragazzo, non uno dei soliti fanatici pro governativi che mandiamo in giro. E questo ragazzo era colpito, dalla gente, dalla passione, da una piazza che rompeva gli stereotipi ai quali eravamo abituati. Il suo interlocutore, seccato, gli chiede – Ma rispetto a noi? – E l’altro, stupito, risponde- Niente – E l’intervista è finita. Perché per Israele, quel che accade nel mondo, è un trauma”.

Secondo Warschawski “la politica estera di Israele rispetto agli ultimi dieci anni è stata schiantata dai fatti. Non è stato capace di proteggere Mubarak e gli altri alleati, non è stato capace di impedire la distensione tra Usa e Iran. Perché mai gli Usa dovrebbero continuare a coprire di denaro un poliziotto locale che non riesce più a far bene il suo dovere? Israele, mentre il centenario equilibrio dell’accordo Sykes – Pikot è andato in pezzi, è rimasto impotente e smarrito”.

Sembra quasi ottimista, come a immaginare una situazione che muta a tale velocità, da non poter lasciare fuori l’occupazione della Palestina. “La verità è che a Israele i palestinesi son rimasti sul gozzo: non può ingoiarli definitivamente, non può sputarli via per sempre. Non sa che fare, ed è anche per questo che è così aggressivo in questo periodo. Anche perché, in tutto il Medio Oriente, anche se i commentatori non ne parlano mai, ha fatto irruzione un nuovo attore sulla scena: il popolo. Tranne che in Palestina. E questo deve accadere. Presto”.

Quello di Warschawski sembra quasi un appello alla società civile palestinese, lontano anche dagli attori politici classici che hanno caratterizzato generazioni di quel processo di pace che, per lui, non è mai esistito. “Se mai c’è stato, è limitato a un paio di mesi dopo la morte di Rabin. Per il resto, nessun governo israeliano, di nessun colore, ha mai voluto davvero la pace. Hanno sempre e solo lavorato per la colonizzazione. Graduale, sistematica, a lungo termine. Basta! E’ assurdo restare attaccati allo slogan dei due stati per due popoli. Siamo troppo lontani da tutto questo”.

Che fare, allora? “Bisogna concentrare tutte le energie sulla colonizzazione. Per combatterla, con un’opposizione popolare. E in questo senso il BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni) è la strada giusta. E’ un pezzo di quella nuova strategia delle società civili contro il colonialismo della quale abbiamo bisogno. Società civili in Israele, in Palestina, in Europa e ovunque. Da nessuna altra parte arriverà una soluzione”.

Concorda con lui Mustafa Barghouti, del Palestinian Medical Relief, in collegamento da Gerusalemme. “L’anno prossimo saranno 50 anni di occupazione. Le violenze del governo e dei coloni ha scatenato questa reazione popolare, almeno quanto la frustrazione verso le autorità palestinesi e la loro complicità, la loro impotenza”. E anche per lui, sono i “comitati popolari di resistenza l’unico futuro per questo popolo. Che deve tornare unito, subito, oltre la vecchia politica e le sue divisioni. E il BDS, per il sostegno internazionale”.

Barghouti insiste molto su un’evoluzione necessaria della lotta palestinese. “E’ tempo di essere autosufficienti, indipendenti, auto organizzati. Per sfidare l’apartheid”. Perché, come sottolineato anche da Warshawski, è anche una questione di parole.

Oren Yiftachel, geografo della politica, all’Università di Beer Sheva, ex presidente di B’Tselem tra gli animatori di una iniziativa chiamata Union, lo sottolinea con chiarezza: “Non si può parlare di occupazione. Un’occupazione è temporanea, militare, dall’esterno. Questa è apartheid, pura. Ed è tempo di usare anche le parole nel modo giusto, perché i tempi sono cupi”.

E lo sa bene Oren, visto l’incendio della sede di B’Tselem, con un’inchiesta chiusa in fretta e furia dalle autorità, è stata definita accidentale, mentre si lavora a una legge che blocchi le ong che ricevono fondi dall’estero, mentre si lasciano finanziare le formazioni di estrema destra.

Il lavoro grafico di Oren e del palestinese Khalil Tafaki, dell’ Arab Studies Society di Gerusalemme, ricostruiscono la colonizzazione sistematica della Palestina, dal 1917 a oggi. Un’impressionante progressione. Oggi, uno stato palestinese, non avrebbe una terra sulla quale nascere. Come sostiene anche il grande giornalista Gideon Levy.

“La politica del bantustan, come in Sud Africa. Bisogna reagire”, conclude Oren, “tutti insieme. Concentriamoci sul boicottaggio, sulle sanzioni, sulle azioni popolari internazionali. E’ l’unica via, altrimenti non c’è futuro. Iniziate tutti, chiedendo che i criminali di guerra israeliani non passano venire in Italia o altrove”.