Il cappello del ministro revisionista

La polemica intorno al controverso ministro della cultura revisionista in Croazia porta ancora una volta alla ribalta il rapporto con la memoria storica

di Francesca Rolandi

A meno di un mese dalla sua nomina al dicastero della Cultura, nel nuovo governo frutto della coalizione post-elettroale HDZ-Most, lo storico Zlatko Hasanbegović non smette di far parlare di sé.

Conosciuto per le sue posizioni revisioniste e per la sua passata militanza nell’estrema destra, il nuovo Ministro della cultura croato è questa volta nel mirino a causa di un copricapo, quello che indossa in una foto vecchia di una ventina d’anni, scattata sulle rive di Spalato durante la guerra.

Sulla testa del ministro farebbe bella mostra un cappello ustaša, legato simbolicamente allo Stato collaborazionista croato (NDH) della seconda guerra mondiale.

L’accusato, dopo aver inizialmente sostenuto che la foto fosse un falso, ha alla fine contestato l’essenza del cappello. Non si tratterebbe di un berretto ustaša, ma di uno dell’HOS, una formazione paramilitare degli anni ’90 proveniente dal Partito croato del diritto, una delle cui unità era intitolata a Rafael Boban, uno dei più stretti collaboratori di Pavelić. L’HOS, comunque,  fece ampio uso dell’iconografia ustaša.

A scovare il materiale d’archivio è stato il settimanale “Novosti”, organo del Consiglio nazionale serbo, che negli ultimi anni ha dato asilo a molte delle voci critiche rispetto al nazionalismo imperante, tra cui le ex penne d’oro del settimanale satirico “Feral”.

Scavando nella biblioteca nazionale, sono emersi anche due articoli degli anni ’90, scritti ancora una volta da un giovane Hasanbegović sul mensile “Stato indipendente croato”, diretto da Srečko Pšeničnik, genero di Ante Pavelić e suo erede alla guida del movimento estremista HOP.

Negli articoli, oltre a glorificare lo stato collaborazionista durante la seconda guerra mondiale e a negare i suoi crimini, l’attuale ministro della Cultura definiva gli ustaša “martiri”. A fare da contorno altre foto che lo ritraggono insieme a personaggi chiave dell’estrema destra croata.

Investito dalle polemiche sin dal suo incarico, Hasanbegović ha più volte negato il suo coinvolgimento giovanile nell’HOP, mentre il premier Tim Orešković, per placare le polemiche, ha affermato che il suo ministro fosse un antifascista.

Infine, dopo la pubblicazione delle foto, su insistenza del partner Most, Hasanbegović ha accettato a denti stretti di dichiararsi un antifascista, senza però rispondere alle domande dei giornalisti. Una dichiarazione di prassi, che secondo molti sarebbe nata dalla paura del ministro di vedersi la poltrona traballare.

Nelle settimane precedenti, infatti, le pressioni  si erano fatte più forti su Hasanbegović, le cui dimissioni sono state richieste al premier Orešković anche da Efraim Zuroff, del Centro Simon Wiesenthal di Gerusalemme che lo ha definito un “fascista”.

Richieste di dimissioni sono arrivate, a varie riprese, sia dal mondo della cultura, sia dai partiti all’opposizione, che hanno anche messo in rilievo come le opinioni – correnti o passate – del ministro, nuocciano alla reputazione internazionale della Croazia.

Cosa che appare però poco probabile, vista la mancanza di una vera opposizione da parte dell’Unione Europea al blocco di estrema destra creatosi in Europa centrale, che connette oggi Polonia e Ungheria.

Intanto nei talk show si discute ormai da settimane su quanto i valori antifascisti debbano essere alla base della moderna Croazia. Ad emergere è, tra l’altro, la tesi della Coalizione patriottica (ruotante intorno all’HDZ) che si dichiara contro ogni totalitarismo, mettendo allo stesso livello, implicitamente, la Jugoslavia socialista e lo Stato indipendente croato, dalla breve storia estremamente sanguinaria.

E siccome poi alla fin fine l’eredità della Jugoslavia socialista non può essere completamente rigettata – anche perché a costituire i settori antifascisti furono in Croazia quasi esclusivamente comunisti – si tollera di facciata anche la memoria dell’NDH.

Così lo scontro sulle memorie confliggenti della seconda guerra mondiale si perpetua tra i contemporanei, rimanendo centrale nel dibattito politico.

Nella Croazia dell’ultimo ventennio, se non si è mai apertamente riabilitato l’NDH, spesso sono state tollerate manifestazione di più o meno velato sostegno, anche in compresenza di celebrazioni ufficiali, come a Bleiburg, dove la commemorazione delle forze collaborazioniste liquidate dai partigiani di Tito si è trasformata in una martirizzazione delle stesse, presentate come “vittime innocenti”.

E riscuote ancora successo l’opinione che l’NDH fu “una buona idea” pur macchiata da errori cela la natura del regime collaborazionista, i cui crimini furono parte integrate del suo “programma politico” anziché accidentali ad eventi esterni.

Come rilevano molti osservatori, Hasanbegović, diventato simbolo della svolta nera in Croazia, non è l’unico responsabile di questa situazione un po’ folle. Lo è soprattutto Tomislav Karamarko, segretario dell’HDZ, che ha imposto un noto estremista come ministro della cultura, provocando ad arte una spirale di polemiche.

Così, a tre mesi dalle elezioni, lo scontro politico in Croazia ruota ancora attorno ai crimini della seconda guerra mondiale, mentre le flebili, traballanti mosse della coalizione HDZ-Most rimangono in secondo piano.