Deutsche Bank, se la crisi è tedesca

Il settore bancario non è in sofferenza solo in Italia.
La crisi di Deutsche Bank preoccupa molto,
frutto di un modello economico tedesco che è assai meno esemplare di quanto ci hanno raccontato

di Eugenio Caverzasi

In questo periodo di montagne russe sui mercati finanziari, con gli indici delle borse mondiali che sembrano impazziti tra continui crolli e rimbalzi (pochi, in realtà), il settore maggiormente coinvolto è quello bancario.

Seguendo le vicissitudini di Banca Etruria, Banca Marche e quella meno recente dei Monte dei Paschi, oltre che le voci insistenti sulla fragilità di altri istituti di credito italiani, si potrebbe pensare di trovarsi di fronte a un fenomeno tutto italiano, con i soliti intrecci tra politica ed economia, il malcostume del Belpaese e una nuova tranche di “compiti a casa” in arrivo da Bruxelles.

Non è così. O almeno, lo è solo in parte. Le banche italiane stanno indubbiamente attraversando un periodo di profonda tensione e in Europa si stanno effettivamente decidendo le modalità e i contenuti di una riforma strutturale del sistema bancario europeo. Ma a destare preoccupazione nella finanza mondiale non sono gli affari della Boschi family, quanto piuttosto quello che avviene all’ombra della Foresta Nera, in Germania.

Deutsche Bank vacilla e fa tremare la finanza mondiale. Per cercare di capire la situazione, può essere utile provare a rispondere a tre semplici domande. Cos’è la Deutsche Bank? Cosa le sta succedendo? Ed infine, perché?

La Deutsche Bank è la principale banca privata tedesca. Nata nel 1870 per favorire il commercio tedesco con l’estero, ha mantenuto la sua vocazione internazionale ed è ora attiva in 72 paesi, con una forte presenza in Nord America, Asia e mercati emergenti.

Quello che sta succedendo è che Deutsche Bank è in crisi.

Ha chiuso il 2015 con una perdita di 6,7 miliardi. Il valore delle azioni si è dimezzato negli ultimi sei mesi ed è ora al 13% del livello prima della crisi del 2007. In soldoni, per comprare un’azione nel maggio 2007 ci volevano circa 115 euro, ad agosto 2015 poco meno di 30 euro e ora appena 15 euro.

Il fallimento di una banca ha chiaramente ripercussioni enormi sull’economia, soprattutto se la banca in questione è un colosso come la Deutsche Bank. Ciò trova una sua spiegazione (e qui la risposta al nostro perché) in diversi elementi. Innanzitutto, la banca tedesca è caratterizzata da una significativa esposizione a mercati in crisi, in particolare a quello dei famigerati derivati, che sono stati il fattore scatenante della crisi del 2007. In secondo luogo, nel 2015 ha dovuto pagare 2,5 miliardi di Euro di multe per gravissimi comportamenti fraudolenti. Infine, le nuove regole di capitalizzazione europee rendono le redditività delle banche più difficile e questo aumenta le incertezze sulla possibilità della banca tedesca di rimanere in piedi.

Non è tutto. La Deutsche Bank non è la prima banca tedesca in difficoltà.

Hypo Real Estate è stata nazionalizzata nel 2009, nello stesso periodo lo Stato è dovuto intervenire per salvare un colosso come Commerzbank (la seconda banca tedesca), così come altri istituti: Aareal Bank, BayernLB, HSH Nordbank, IKB, SdB, NordLB. In breve: la Germania ha dovuto usare 259 miliardi euro (pari a circa il 10% del PIL) di soldi pubblici per salvare il suo sistema bancario. Ma com’è possibile che la locomotiva d’Europa, la quarta economia mondiale in termini di PIL, nonché la patria del rigore economico da esportare ovunque in Europa, abbia un sistema bancario in queste condizioni? Tutto questo mentre l’economia tedesca sembra godere di buona salute, la crescita non è eccezionale, ma c’è, e i conti pubblici sono spettacolarmente ordinati.

deutsche bank

Quello che sembra in crisi è una componente chiave del modello economico tedesco degli ultimi decenni. Un modello definito fin dagli anni ’80 come “neo-mercantilista”. Questo modello si declina in due passaggi fondamentali: il primo è l’esportazione di merci e il secondo è l’impiego all’estero delle entrate provenienti dal commercio.

Il secondo elemento, spesso trascurato, ha giocato fin da prima dell’euro un ruolo imprescindibile del modello economico tedesco, in quanto ha consentito di evitare l’apprezzamento del marco prima e l’inflazione poi, mantenendo la competitività mondiale dei prodotti tedeschi. A questo chiaramente hanno concorso altri elementi altrettanto importanti, come il contenimento salariale, ma anche l’efficienza dell’industria tedesca e uno stato attento alla economia e all’industria.

Rinvestire i capitali all’estero è quindi stata una componente chiave, quasi strutturale del modello economico tedesco e le banche ne sono un ingranaggio essenziale.

Le motivazioni di questi investimenti “sbagliati” sono complesse: possono andare dalla cupidigia sfrenata, all’incapacità, agli azzardi morali ecc… Forse quando i capitali da investire in finanza sono così tanti, qualsiasi investimento risulta alla lunga sbagliato, perché non c’è nulla in grado di remunerare tutto quel capitale senza essere travolto da bolle speculative e dinamiche distorsive. Quello che è sicuro è che se l’economia mondiale è in crisi, e lo è, entra in crisi anche questo secondo elemento dell’economia tedesca, perché le possibilità di investimento vengono meno. Banche ed economia vanno a braccetto: se l’economia mondiale va male, le banche di respiro internazionale andranno male.

Una puntualizzazione prima di concludere. È risaputo che una componente di fragilità dei bilanci delle banche tedesche erano i titoli di stato dei Paesi del sud Europa. Alla luce della montagna di soldi pubblici utilizzati dalla Germania per salvare le banche, la retorica dei contribuenti tedeschi che non vogliono salvare i privilegi (dubbi) e le inefficienze (indubbie) della Grecia si inverte.

Paradossalmente, infatti, ai contribuenti greci sono stati imposti sacrifici molto gravosi anche per salvare le banche tedesche dalle conseguenze del loro approccio speculativo, che ha foraggiato un’economia debole come quella greca o i derivati (!) americani, asset rischiosi scelti deliberatamente per avere ritorni più alti.

E ora ci si rifiuta di accettare le conseguenze di questo approccio speculativo, le quali, per altro, rischiano di avere un impatto a dir poco preoccupante su tutta l’eurozona, molto più degli scossoni provocati dell’economia greca e dei tanto bastonati PIIGS e si uniscono al timore che dai negoziati europei di questi giorni emerga una riforma bancaria ad hoc per l’economia tedesca.

Il modello tedesco è molto meno esemplare di quanto abbiamo creduto, anche perché un modello universale, che prescinda dalla struttura caratteristica di un paese e dal contesto internazionale, non c’è.
 

L’immagine in apertura della sede della Deutsche Bank a Francoforte è una fotografia di Carsten Frenzl tratta da Flickr in CC.