Hotspot Lampedusa. Come uscire dall’impasse?

La foto di apertura è tratta dal trailer ufficiale di Fuocoammare, che ieri ha vinto l’orso d’oro alla Berlinale. Il regista Gianfranco Rosi ha dedicato la statuetta agli uomoini e donne di Lampedusa. E a tutto quelli che a Lampedusa non ci sono nemmeno arrivati.

di Ilaria Roberta Sesana

Nei giorni scorsi, la Commissione diritti umani del senato presieduta da Luigi Manconi, ha pubblicato il Rapporto sui centri di identificazione ed espulsione.

“Hotspot, espulsioni: la fabbrica degli irregolari”. Così titolavamo lo scorso ottobre in un articolo che descriveva la situazione in Sicilia (in modo particolare nella provincia di Agrigento) a poche settimane dall’avvio dell’hotspot di Lampedusa. Nei giorni scorsi, la Commissione diritti umani del senato presieduta da Luigi Manconi, ha pubblicato il Rapporto sui centri di identificazione ed espulsione in cui arriva alla stessa conclusione.

“Unico risultato tangibile (dell’attività dell’hotspot di Lampedusa, ndr) è l’aumento di stranieri con in mano un decreto di respingimento differito del Questore, che intima di lasciare il nostro Paese entro sette giorni. Persone che di fatto rimangono poi nel territorio italiano irregolarmente”. In meno di cinque mesi di attività (tra il 1° settembre 2015 e il 13 gennaio 2016) ben 775 migranti hanno ricevuto quell’incompresibile pezzo di carta che per molti di loro è solo il “seven days paper”.

Inoltre la Commissione stigmatizza le procedure di identificazione sommaria degli hotspot che in poche ore separano i salvati (eritrei, siriani, iracheni e centrafricani) dai sommersi (tutti coloro che vengono individuati come “migranti economici”). Tale procedura – denuncia la Commissione – si svolge quando i profughi, soccorsi in mare e appena sbarcati, “sono spesso evidentemente ancora sotto shock a causa di un viaggio lungo e rischioso”. Non si tratta poi “di un colloquio vero e proprio”, ma della semplice compilazione di un questionario che risulta formulato in maniera estremamente stringata e poco comprensibile.
A cinque mesi dall’apertura del primo hotspot voluto dall’Agenda europea sulle migrazioni, il quadro è decisamente preoccupante: in meno di cinque mesi sono arrivati 4.597 cittadini stranieri. Più dell’80% sono stati registrati e identificati, 502 hanno manifestato la volontà di chiedere asilo in Italia mentre altre 563 persone hanno avuto accesso al programma di ricollocamento (il 12% degli sbarcati).
E qui, iniziano le criticità. Solo 179 persone sono già state trasferite, mentre altre 198 sono in attesa di partire. Il primo pilastro su cui si basa l’Agenda Ue, già scricchiola e le 23mila relocation promesse sembrano un miraggio lontano. Peraltro, in molti casi sono gli stessi aventi diritto alla relocation a non voler accettare il trasferimento in altri Paesi europei che non rientrano nel loro progetto migratorio: perché mai un giovane eritreo con familiari a Berlino o Stoccolma dovrebbe accettare di essere trasferito in Polonia o in Finlandia?
Veniamo al secondo pilastro: le espulsioni. L’Agenda europea parla chiaro: chi non presenta rchiesta di protezione e viene considerato “migrante economico” deve essere rimpatriato, in quanto non in possesso dei requisiti necessari per rimanere regolarmente sul territorio europeo. Il rimpatrio avviene attraverso i Centri di identificazione ed espulsione (Cie) dove, nel corso del 2015, sono stati trasferiti 397 migranti dall’hotspot di Lampedusa. A questi bisognerebbe poi aggiungere (il condizionale è d’obbligo) i 775 migranti che hanno ricevuto un provvedimento di respingimento differito.

Complessivamente i Cie attivi in Italia sono sei, con una capienza complessiva di 720 posti, cui si dovrebbero aggiungere (ma non si sa con quale tempistica) le riaperture di Milano (132 posti) e Gradisca d’Isonzo (248 posti). In totale, poco più di 1.100 posti. Anche senza essere esperti di statistica, salta subito all’occhio la sproporzione tra il numero di irregolari “prodotti” dall’unico hotspot attivo in Italia in soli cinque mesi e l’effettiva capienza dei Cie.
Per aggirare il problema, ai migranti che non hanno chiesto asilo e che vengono etichettati come “migranti economici” viene consegnato un provvedimento di respingimento differito, con l’ordine di lasciare il territorio nazionale entro sette giorni. “Di fatto, sono destinati a rimanere irregolarmente nel territorio italiano e a vivere e lavorare illegalmente e in condizioni estremamente precarie nel nostro Paese”, evidenzia il dossier della Commissione diritti umani del Senato.

“Persone, dunque, escluse da ogni possibilità di regolarizzazione e di inserimento in un percorso di integrazione”. In pratica, un regalo alle mafie e a tutti coloro che sfruttano il lavoro nero.

Ma come uscire dall’impasse?

Per il viceministro Bubbico, la soluzione sono “gli accordi bilaterali con i Paesi di provenienza” per accerelare le procedure di identitificazione e il rimpatrio. Si stia già iniziando a lavorare in tal senso (ad esempio con Senegal, Ghana, Gambia, Costa d’avorio, Bangladesh e Pakistan) ma, ammesso che siano la soluzione, eventuali accordi non arriveranno certo a breve. La primavera e la ripresa delle partenze dalla Libia, invece, sono ormai alle porte.