il campo spontaneo che è nato alcuni anni fa ai margini
della città francese. E che presto verrà parzialmente demolito
testo e foto di Valerio Nicolosi,
tratto da Lungotevere
Ho sempre pensato che il termine “giungla” fosse esagerato per definire il campo spontaneo nato alcuni anni fa a Calais, la città di mare francese da dove parte il tunnel della Manica. Avevo visto alcune foto ma mai dei servizi televisivi perché, ed è una mia pecca, guardo poca televisione nonostante sia il mio lavoro.
Quando sei ancora in autostrada l’impatto è subito forte, il campo lo vedi in lontananza senza poterlo raggiungere perché l’uscita è chiusa e subito dopo inizia una doppia fila di reti metalliche coronate da filo spinato in cima. Dopo qualche giro in cui il navigatore impazzisce, si riesce ad arrivare al campo vero e proprio e l’impatto, per quanto possibile, è ancora più forte. Le baracche sorte spontaneamente sono a perdita d’occhio, il fango che arriva alle caviglie diventa subito una costante come l’odore pesante degli scarichi a cielo aperto misti a quelli delle fabbriche che si trovano a poche centinaia di metri.
Per fortuna il campo è vivo, le persone camminano nel viale principale dove si incontrano anche bar, ristoranti, barbieri, tabacchi, librerie e una chiesa ortodossa tutto rigorosamente nato in maniera autonoma, tutto talmente improvvisato ma che sembra avere una sua logica. Il rumore dei gruppi elettrogeni fuori dai “locali” sono una costante a cui ci si abitua presto, un pò meno quando riascolti le interviste durante il montaggio.
Nel campo vivono circa 4mila persone, di cui circa 400 sono minori non accompagnati tra i 13 e i 17 anni.
Arrivano dall’Afghanistan, dal Sudan e da altri luoghi del Medio Oriente e dell’Africa centrale e sono scappati dalle guerre che esportano la democrazia, quelle tra bande e dalla fame. Alcuni non vogliono restare in Francia perché non c’è lavoro per loro, mentre altri hanno familiari ad aspettarli Oltremanica, ogni sera moltissimi degli abitanti della giungla provano a salire sui camion che attraversano il tunnel. Spesso saltano di nascosto sui tir che si fermano nelle stazioni di servizio, altre volte pagano il camionista per nascondersi dentro il vano di carico. Se poi quest’ultimo viene fermato può sempre dichiarare di non sapere della loro presenza a bordo.
La polizia è poca e si trova solo all’esterno: vediamo 2 blindati il primo giorno e 5 il secondo ma comunque in “assetto” da riposo, si occupano principalmente del controllo delle macchine e dei furgoni dei volontari che entrano per portare cibo e vestiti ai migranti.
Nonostante tutto è un posto in cui le persone cercano una normalità difficile da conquistare attraverso dei piccoli falò fuori le baracche in cui si riuniscono per chiacchierare, fumare qualche sigaretta e farsi la barba.
A parte qualcuno, che legittimamente non vuole essere ripreso, il clima è disteso; un ragazzo mi chiama per farmi vedere che sta giocando con le bolle di sapone, altri ti accolgono nel “cerchio” attorno al falò e così possiamo conoscere le storie di chi è arrivato in Italia partendo dalla Libia fermandosi per due anni a Catania dove non c’era lavoro e così è stato di nuovo costretto a partire. Oppure di chi a Calais c’è arrivato a piedi passando oltre 5 paesi della famosa “rotta balcanica”, mesi a camminare per finire nella giungla fangosa ma con la speranza di riuscire a passare quel mare che come il Mediterraneo dovrebbe unire invece che dividere per poter dare una speranza di normalità a chi è scappato da bombe e fame.
Quando la sera andiamo via, dopo l’ultima diretta, il campo è completamente al buio e l’aria si fa più pesante. Fuori il campo si muovono molti gruppi di ragazzi che piano piano di avvicinano all’autostrada e alle stazioni di servizio: speriamo che per loro questa sia la notte giusta.
In questi giorni, il governo francese sta mettendo in azione un piano per demolire parte del campo di Calais, in particolare la zona meridionale dell’insediamento. Almeno mille persone dovranno lasciare l’area e spostarsi in container approntati nelle vicinanze oppure in centri di accoglienza in altre città.