di Andrea Oskar Rossini, tratto da Osservatorio Balcani Caucaso
Le nuove procedure introdotte lungo la rotta balcanica stanno comportando nei fatti la progressiva chiusura della rotta stessa. È quanto si evince dagli eventi degli ultimi giorni al confine di Idomeni, e dalle segnalazioni dei volontari lungo tutte le tappe del percorso che, fino a pochi giorni fa, permetteva ai profughi di raggiungere la Germania dalla Grecia.
Le limitazioni degli accessi sulla rotta balcanica stanno avvenendo in violazione di ogni normativa internazionale sul diritto d’asilo, come già denunciato dall’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Le persone sono selezionate in base alla nazionalità e ad altri criteri stabiliti unilateralmente da alcuni governi della regione, e non sulla base dell’analisi dei singoli casi.
La conseguenza più immediata della chiusura della rotta, secondo quanto denunciano le organizzazioni per i diritti umani, sarà un nuovo impulso dato all’attività delle reti criminali dedite al traffico di persone attraverso i Balcani. Di fatto, l’attuale situazione vigente in Turchia, dove i passaggi dei profughi verso le isole greche sono stati interamente appaltati alla criminalità organizzata, rischia ora di essere trasferita anche nei paesi balcanici.
Dimitrovgrad
Una situazione particolarmente disperata è quella dei profughi che non rientrano nelle nazionalità ammesse lungo la rotta, ma che lo erano fino a ieri. A Dimitrovgrad, al confine tra Serbia e Bulgaria, il centro di identificazione aperto mesi fa dalle autorità serbe ha cessato di operare il 20 febbraio scorso. Questo era uno dei punti di accesso alla rotta balcanica utilizzato soprattutto dagli afghani. Ora, secondo quanto riferito dai volontari, ogni migrante intercettato dalla polizia nella zona viene arrestato o immediatamente respinto in Bulgaria. Gruppi di giovani afghani sarebbero nelle montagne in attesa di trovare nuove modalità per attraversare il confine, a questo punto in maniera illegale.
Un gruppo di 750 profughi, anche in questo caso per la maggioranza afghani, sono invece bloccati da due settimane nel campo macedone di Tabanovce, impossibilitati a proseguire.
Respingimenti vengono però segnalati lungo tutte le tappe della rotta balcanica anche per siriani e iracheni, le nazionalità formalmente ancora ammesse, spesso senza spiegazioni o perché la documentazione in loro possesso non è più considerata valida.
Idomeni
La situazione più grave in questi giorni è senz’altro quella di Idomeni, in Grecia. Da quando Austria, Slovenia, Croazia, Serbia e Macedonia hanno deciso di limitare il numero dei profughi che possono transitare verso la Germania al tetto stabilito dal governo di Vienna, 37.500 per il 2016, il numero delle persone bloccate a Idomeni continua ad aumentare. La Grecia infatti, esclusa dalle negoziazioni tra Vienna e gli altri paesi dei Balcani, resta aperta. Le migliaia di profughi che entrano quotidianamente in territorio ellenico arrivano progressivamente al campo di Idomeni, alla frontiera con la Macedonia, che si sta trasformando in un gigantesco imbuto. La capacità del campo, previsto per il solo transito, è di 2.000 persone. Oggi a Idomeni ci sono già 12.000 profughi, in una situazione di crescente crisi umanitaria.
Sul posto ci sono gruppi di volontari europei come Aid Delivery Mission che cercano di far fronte alla situazione e sono in grado di fornire migliaia di pasti caldi ai profughi, ma la situazione rischia di peggiorare se le autorità macedoni continueranno nella loro politica di chiusura delle frontiere.
Alcuni gruppi di profughi nei giorni scorsi hanno cercato di sfondare il muro eretto al confine, ma sono stati respinti con gas lacrimogeni dalla polizia macedone. Anche le polizie di altri paesi europei, tra cui Austria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Croazia, Slovenia e Serbia collaborano con Skopje nella difesa del confine macedone rispetto agli ingressi dal lato greco, che è un confine Schengen, in un surreale rovesciamento che illustra la disfatta europea nella gestione di questa crisi.
Il confine di Idomeni ieri si è riaperto brevemente facendo passare 170 rifugiati. Le persone sono state controllate dalla polizia della Repubblica Ceca. Secondo le segnalazioni dei volontari, anche la data del timbro di ingresso da Siria e Iraq in Turchia sarebbe ora valutato per permettere l’eventuale transito delle persone sulla rotta balcanica.
Le associazioni presenti a Idomeni hanno lanciato una richiesta di aiuto chiedendo a chiunque ne abbia la possibilità di recarsi in loco come volontario per prestare sostegno in questa difficile situazione.
Il trauma subito da persone che hanno dovuto lasciare le proprie case in fuga dalla guerra si somma al trauma di un viaggio sempre più incerto e pericoloso. Secondo i dati più recenti riportati da Open Migration, oltre 400 persone hanno già perso la vita quest’anno nel tentativo di raggiungere le coste europee. Per chi è riuscito ad arrivare in Grecia, ora il timore è quello di dover scegliere se affidarsi di nuovo ai trafficanti o rimanere bloccati nella spianata di Idomeni.