di Antonio Marafioti
«C’è solo una persona che ha fatto bene stasera: Donald Trump». Il commento autocelebrativo giunto dopo le prime due vittorie di giornata in Michigan e Mississippi sottolinea due cose: Trump prosegue la corsa più forte di prima; Trump prosegue la corsa più arrogante di prima. Alla vigilia del voto più importante, quello del prossimo 15 marzo in Florida e Ohio, il magnate di New York conquista altri tre stati e ipoteca seriamente la maggioranza alla convention repubblicana di luglio.
La scorsa notte (in Italia) gli elettori del Gop si sono espressi ben quattro stati, mentre i democratici hanno votato in due. In palio c’erano 150 nuovi delegati per il partito dell’elefantino e 166 per quello dell’asinello.
Trump se n’è portati a casa 59 vincendo in Michigan (37%), Mississippi (47%) e nel caucus delle Hawaii (42%).
Ai suoi avversari non è rimasto che accontentarsi delle macerie lasciate dal passaggio del tycoon: Cruz prende 44 delegati vincendo con un ottimo 45% in Idaho, mentre John Kasich, governatore dell’Ohio inizialmente favorito nel confinante Michigan, infila due terzi posti e alla conta finale raccoglie 17 delegati. Resta fermo al palo il golden boy, Marco Rubio, a cui non sono bastate le parole pronunciate la scorsa settimana da due ex candidati del calibro di Mitt Romney, «Trump è un impostore e un ciarlatano», e del veterano John McCain, «lui sarebbe un pericolo per la sicurezza nazionale». A nulla è valso perfino l’annuncio dell’ex sindaco di New York, Michael Bloomberg, che ha dichiarato di rinunciare a una candidatura da indipendente per contrastare Trump e Cruz.
Il segnale degli elettori di Trump è chiaro: neanche l’establishment del partito riesce ad arginare la potenza del voto di protesta.
Il voto arrabbiato di un elettorato deluso da anni di fallimenti e da una crisi economica che ha lasciato molti di loro privi di speranza nella politica. Trump continua a rappresentare l’unica alternativa in grado di riportare ai seggi gli appartenenti a questa fascia di votanti composta, secondo le analisi, da bianchi poveri con un basso livello di istruzione. Il partito rischia di arrivare a luglio spaccato e di non raggiungere una maggioranza sulla nomination presidenziale per Trump che attualmente guida il gruppo con 446 delegati seguito da Cruz, 347, Rubio, 151, e Kasich, 54. I tre durante un dibattito pubblico davanti ai telespettatori della Fox hanno sostenuto che appoggeranno Trump se questo dovesse vincere la nomination.
Sul fronte democratico, un altro dibattito televisivo, tenuto due giorni fa negli studi della Cnn a Flint, Michigan, sembra essere costato i voti di questo stato a Hillary Clinton che nella notte ha completato le vittorie della Bible Belt, vincendo in Mississippi (83%), ma subendo una sconfitta in uno degli stati della working class del reparto automobilistico.
Solo due giorni fa l’ex Segretario di Stato ha attaccato Sanders sul pacchetto di aiuti da 14 miliardi di dollari, del 2008-2009, per il rifinanziamento del settore automobilistico. «Ho votato sì per salvare l’industria dell’automobile», ha detto Clinton. Sanders in contropiede ha ricordato che quel voto era per il bailout di Wall Street e che solo una parte di quei finanziamenti sarebbero serviti ad aiutare il comparto manifatturiero legato al settore automobilistico (qui la spiegazione del Washington Post sulla querelle). «Ho votato no al salvataggio degli imbroglioni di Wall Street a carico della classe media», ha ribattuto il vecchio Bernie. Risultato: vittoria in Michigan (50%) e 69 nuovi delegati che portano la sua quota a 571 contro i 1221 della candidata Clinton che mantiene il black vote in Mississippi, ma lo perde proprio nei pressi di Detroit. Un dato di non poco conto visto che un altro importantissimo stato legato al settore automobilistico, l’Ohio, si pronuncerà il prossimo 15 marzo. Storia vuole che nessuno sia mai stato eletto presidente senza i voti di questo stato. Il voto di martedì prossimo ci dirà quanto contano anche solo per ottenere una nomination di partito.
Sosteneteci. Come? Cliccate qui!
.