di Giulia Terrosi
Gerusalemme fa parte di quelle esperienze, per lo meno di quelle che ho vissuto, che ti entrano dentro prepotentemente e non ti lasceranno mai più. Viverci, stare a contatto con il contrasto culturale e la complessità quotidiana ti forma e ti fa crescere rimanendo parte di te anche quando non vivi più lì.
Viverci per me non è mai stato uno shock culturale, mi sono sempre trovata a mio agio nelle stradine affollate della città vecchia o di Gerusalemme Est, dove abitavo.
Non è affatto facile vivere a Gerusalemme, soprattutto se sei un arabo musulmano, soprattutto se vivi a Gerusalemme Est. Non voglio parlare di politica in questa sede, ma trovo sia impossibile parlare di Gerusalemme senza conoscere i ritmi, le strade, la realtà urbana, la storia di millenni della città.
La città è divisa in due dalla tramvia (linea verde, dal ‘49), da una parte si sviluppa la parte musulmana e dall’altra la parte ebraica, con ampie differenze urbanistiche ed economico-sociali. Molto raramente, quasi mai, accade che gli uni attraversino la tramvia per andare nella parte degli altri, anzi, per molti non è contemplabile il solo pensiero di farlo.
Ma in realtà Gerusalemme è molto più complessa di questo. Da sempre è la città contesa dalle religioni monoteiste, nella città vecchia i quartieri si dividono formalmente in armeno, cristiano, musulmano ed ebraico, anche se in realtà il governo israeliano sta acquistando sempre più proprietà ed edifici e può impedire l’accesso ai luoghi di culto delle altre religioni, come spesso accade.
Il mancato riconoscimento reciproco fa sì che vi sia una parte più dominante di tutti, quella israeliana, in tutti gli aspetti della vita sociale.
Anche se sembra un luogo comune, solo chi ha vissuto a Gerusalemme, vivendo la differenza tra la parte Est e quella Ovest, passando dai Check Points e dai sempre più invadenti insediamenti, può capire quanto sia difficile, per chi non è riconosciuto, poter vivere una vita serena ed avere i diritti fondamentali assicurati.
Gerusalemme con i suoi contrasti, i suoi profumi, i suoi suoni non è comparabile a nessun’altra città al mondo. La mattina presto il canto del Muezzin per me era una certezza, un suono assicurante che mi ricordava che non ero a casa mia in Italia, ma che mi sarebbe aspettata un’altra giornata in questa bellissima città con chissà quali risvolti.
Adoravo andare a fare colazione in Salah Ad-Din Street dove trovavo sfiha e succhi freschi appena spremuti e meravigliose sfoglie sia dolci che salate dal panettiere, camminare fino al Monte degli Ulivi dove riuscivo a vedere la città nella sua interezza, nella sua bellezza e nella sua complessità.
Riscendere e perdermi nuovamente nella città vecchia, sui tetti sopra la città oppure in mezzo alla fiumana di persone e di culture differenti per ritrovarmi a mangiare falafel e hummus insieme ai venditori locali e ad altri turisti. Oppure camminare nella Gerusalemme Ovest attraverso il Mamilla Center, fino al quartiere tedesco e la ferrovia, per tornare in Jaffa Street e al Mahane Yehuda Market tornando a Gerusalemme Est passando da Mea Shearim, il quartiere ortodosso.
Non sto ad elencare tutti i quartieri di Gerusalemme, che sono moltissimi, anche perché per chi non c’è stato questi nomi non vogliono dire niente. La cosa che vorrei trasmettere è che camminando osservavo e parlavo con le persone, cercando di capire meglio il contesto visto da dentro.
E più cercavo di capire più veniva fuori la complessità della città che comunque deriva dall’appartenenza alla terra. Le persone che vivono a Gerusalemme vivono una realtà unica, la situazione è sempre stata tesa, qualche volta di più, qualche volta meno. Non lo percepivi dalla quotidianità delle persone che perseguiva inesorabile, ma dall’aria. C’era sempre una scintilla pronta a scattare, e quando scattava, molto spesso finiva con dei deceduti, soprattutto Palestinesi.
Non vivo più a Gerusalemme da mesi, ma per quanto mi riguarda non ho mai dimenticato la vita vissuta lì e continuo a informarmi quotidianamente sulla situazione. E’ evidente che le cose siano molto peggiorate dalla scomparsa dei tre ragazzi israeliani, fino al ritrovamento dei loro corpi.
La continua escalation di violenza ha travolto pienamente la città. Non passa un giorno senza che non vi sia un attacco o un aggressione in entrambe le parti della città e il futuro della città è sempre più precario. E’ impossibile prevedere quello che succederà nel futuro, cosa ne sarà di questa città che esiste da millenni.
imagesSolo se tutti i suoi abitanti avranno uguali diritti ed il giusto riconoscimento senza che vi sia qualcuno a predominare sull’altro, Gerusalemme potrà avere un futuro. Questo potrebbe essere ritenuto utopico, anche in vista di quanto è accaduto fino ad oggi dal ’48 in poi.
Ma esiste la possibilità di fermare questa spirale di violenza e di proteggere gli abitanti della città, soprattutto quelli più deboli e meno tutelati, e deve venire dalla volontà e dalla fermezza della società civile e delle istituzioni internazionali. Continuare a chiudere gli occhi o a voltarsi dall’altra parte ci rende solo complici della sofferenza che sta invadendo sempre di più la città.
Se potessi, ci ritornerei subito, tornerei in quel contesto teso fatto di persone, di luoghi e di significati. Il mio invito è di andare a Gerusalemme, nonostante la situazione attuale, non tramite un tour guidato che ti impedisce di vivere la realtà. Andate e stateci il più possibile, muovetevi tra i quartieri, osservate la città al di là dei simboli di fede e dei luoghi turistici, osservate la Gerusalemme Est e quella Ovest cercando di comunicare con i loro abitanti. Solo così avrete un’idea di quello che è stato, di quello che è o che non è questa città unica.