Tra Calais e Dunkerque – Giorno 4

Macao in viaggio a Calais e Dunkerque – giorno 1

di Sita, per MACAO

#openborders #safepassage

Non è facile tenere un diario qui. Si fatica a trovare il tempo e spessissimo anche a convincersi di averlo per se stessi, per scrivere qualcosa di personale.
Ma soprattutto un diario significa dare un riscontro al tempo. Mettere una tacca in più.

Un altro giorno dal quale non ci si può spostare. No, non ho sbagliato a scrivere, proprio un altro lasso di tempo dal quale non ci si può muovere.

Mentre fisicamente nella jungle tutto si sposta. Alacremente. Intere casupole portate a mano nell’altro versante. Sciami di persone che in costante movimento trasportano cibo e qualsiasi oggetto recuperato. Che con fantasia e necessità verrà trasformato in qualcosa di utile.Tutto si muove al di là della polizia, massicciamente presente sia per continuare la distruzione del lato nord sia per prendere le targhe dei volontari.

Sempre più agguerrita nell’allontanamento della jungle. Ci allontana come se un giorno tutto sia abbastanza lontano da evaporare e estinguersi da solo o più semplicemente perché sia sufficientemente fuori portata da non essere più un problema proprio. Un tentativo di riavvolgere velocemente all indietro la pellicola degli sbarchi. E a quel punto resta solo il mare.

14 giorni. Non sembrano molti in un momento storico così lungo.
14 giorni che equivalgono alla scelta forzata di vivere o no. Questo è il riscontro.
Perché 12 persone si sono cucite la bocca e non mangiano ne bevono da 2 settimane. In condizioni estreme, temperature drastiche, stress fisico e mentale indefinibile.

Insomma il tempo medio di una vacanza europea e il tempo per morire qui.

Eppure sembra che nessun media ne parli anche se nel campo la stampa non manca. Non c’è traccia di questo sciopero della fame. Non solo loro hanno la bocca cucita.

E’ difficile scandire il tempo anche per me stessa. Sembra che non basti mai. Si è sempre presi da una sorta di frenesia. Un’energia enorme e condivisa. Che non si ferma al portare aiuti. Non si placa nelle innumerevoli ore passate a cucinare, smistare materiali, costruire e riparare. Ne si placa nel costante lavoro di ricerca e comunicazione. E’ un energia che si crea grazie agli abitanti della jungle che insegnano che non importa quanto sia difficile.

Importa avere una vita migliore.
Importa sorridere. Importa essere curiosi.
In fondo qui c’è tutto il mondo.

Personalmente mi trovo in una dimensione spazio tempo surreale e incredibile.
Come moltissimi qui sono disoccupata, nullatenente e con prospettiva future di lavoro in Italia pressoché inesistenti.

E mi sto rendendo conto di avere una cosa importantissima che ai rifugiati viene negata. Ed è sempre il tempo. La possibilità di scegliere come vivere e disporre del proprio tempo.

Senza questa scelta non si ha l’immaginario del proprio futuro. Senza un futuro esiste solo un presente di sopravvivenza. E non per tutti.