di Tano Siracusa
Daniele aveva organizzato con altri suoi amici artisti un’esposizione su tema dell’altro, dello spaesamento. Durava solo una notte e si svolgeva in una delle grandi gallerie al centro di Bruxelles.
Un ‘museo invisibile’, con gli spazi da immaginare e tante pitture, fotografie, installazioni, video, letture di poesie per un centinaio di metri: era il marzo dello scorso anno.
Daniele aveva invitato anche suo padre che aveva affittato una macchina, così per due giorni avevamo scorrazzato assieme per la città ammirandone l’eleganza, la luce che sprizzava sulle vetrine dei bistrot, la profusione dei prospetti primo Novecento – un po’ leggerezza francese un po’ gravità teutonica – e le piazze, le chiese, i musei, la felice contaminazione delle magnifiche ville liberty con le i volumi e i materiali dell’architettura contemporanea, e quella atmosfera di città ricca, profondamente borghese, che aveva saputo assorbire senza traumi la sfida della complessità multietnica.
Qui non è come a Parigi, si diceva, come a Marsiglia. «Dove sono le periferie? Dove sono i quartieri poveri?» chiedevo a Daniele troppo indaffarato a organizzare il suo ‘museo invisibile’ per darmi retta, e quando lo faceva sembrava incerto, come se non lo sapesse. Lui che in quella città cosmopolita ci vive da anni con gli estri e la confidenza del bohémien.
Di sicuro la periferia, attraversando la quale si arrivava dal centro al bosco di Waterloo, manteneva fino alle sue estreme propaggini un decoro borghese, perfino elegante. Per noi abituati alle periferie delle città siciliane, i palazzi non intonacati, le strade polverose e sconnesse, un paesaggio urbano tumultuoso e isterico dove la pressione dei migranti si mimetizza in uno scenario sciroccato da disfatta, Bruxelles ci appariva un’utopia di rispetto della legge, efficienza e integrazione multiculturale.
Poi, un anno dopo, quelle immagini della città ferita, impaurita, blindata, spettrale.
La storia, nella scansione che ne offre la rappresentazione mediatica, è un susseguirsi di sequenze apparentemente incoerente, con scenari che si avvicendano, ritornano, spariscono.
Non sempre le sparizioni mediatiche sono una buona notizia (un anno fa il disastroso terremoto in Nepal, l’altro giorno un articolo di Visetti sul Tibet dimenticato), ma a volte lo sono.
Che Bruxelles, la sua quotidianità, siano di nuovo sparite dagli schermi televisivi e dai giornali è di per sé una notizia buona.
Infatti Daniele e i suoi amici artisti poliglotti, di razze, lingue e religioni diverse, continuano con il loro ‘Medex – musèe éffémère de l’esile’ a invadere gli spazi di Bruxelles, di Anderlecht, di altre località, sperimentando lo scambio, l’incontro, la comunità. Con un successo crescente, giura suo padre.
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