Un diario per immagini, il Nepal del dopo terremoto e la vita che continua
testo e foto di Michela Chimenti, da Kathmandu
Perdersi per Kathmandu è facile: non mi sono mai sentita così accolta e persa nello stesso tempo. Accolta perché i nepalesi, al quinto giorno, vanno oltre il cordiale “namaste!” e vogliono sapere di più su chi sono e cosa ci faccio qui; persa perché non riesco mai a ritrovarmi, e quando penso di essere sulla strada giusta, la mia speranza resta appesa ad un cartello che non c’è: quello che indica il nome della via.
Sia in città che fuori, i maggiori punti di riferimento restano i cantieri: uno ogni 5 passi. Il pensiero è sempre quello di non sapere da dove vengano e da quanto stiano lì tutti quei mattoni. Parlando con chi conosce il Nepal da ben più tempo di me, la sensazione è confermata. Il terremoto ha contribuito in modo consistente a rendere caotica una situazione disordinata già all’origine. È caduto ciò che stava in piedi… Ovvia la fine di ciò che già traballava.
Ci si sente sempre parte della ricostruzione, fra impalcature e mattoni; in quartieri, città e villaggi distanti dal centro l’atmosfera che si respira è diversa, in alcuni casi desolata, spettrale. Migliaia di persone in tutto il paese non solo non hanno ancora ricevuto i soldi da parte del governo per ricostruire la propria casa, ma vivono tutt’oggi in alloggi temporanei, vere e proprie tendopoli. Prima che la vita entri in città e che il traffico prenda possesso di ogni piccolo spazio di ogni singola via, il terremoto è lì davanti a me. In silenzio. E mi guarda in faccia.
Non c’ero in quel 25 aprile 2015 di magnitudo 7,8 della scala Richter in mezzo a più di 8000 morti (fonte Nepal Disaster Risk Reduction Portal). Non c’ero nemmeno il 12 maggio 2015, quando altre scosse (la più forte di magnitudo 6,2 della scala Richter) hanno ributtato nella paura chi stava rialzando la testa dalle macerie.
Ci sono un anno dopo. Questo è ciò che vedo.
Provo a riportare agli occhi la vita che si muove fra crepe e ghiaia, fra tende e voragini; la vita che è ancora lì, che è sempre stata lì, che si muove fra le vie nel suo miglior vestito rosso.
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