di Tsai Mali, tratto da Osservatorio Balcani Caucaso
Il governo di centrosinistra guidato da Edi Rama è impegnato da anni in un delicato processo di riforma del sistema giudiziario. Nell’ottobre del 2014, a poche settimane dalla pubblicazione di un Progress Report della Commissione Europea che ne fotografava l’estrema debolezza, il Presidente della Repubblica Bujar Nishani aveva convocato una conferenza per annunciare che sarebbe presto stato riformato.
A novembre, la maggioranza di centrosinistra istituì una commissione parlamentare ad hoc, assistita da esperti dell’Unione europea e degli Stati Uniti. Presieduta dal socialista Fatmir Xhafa e composta di 11 membri (6 della maggioranza e 5 dell’opposizione), si riunì per la prima volta sul finire di dicembre, in assenza però dei deputati del centrodestra che in quel periodo boicottavano i lavori parlamentari. Da lì a pochi giorni, con la mediazione dei Parlamento europeo, le parti avrebbero comunque trovato l’accordo per avviare i suoi lavori.
Un anno dopo un gruppo di esperti albanesi e stranieri riunitosi a margine della Commissione parlamentare elaborò finalmente una prima bozza di intervento da sottoporre a quest’ultima.
Questo avvenne a seguito di un percorso più che travagliato, che ha visto l’opposizione ritirarsi più volte dai lavori e che è stato rallentato dalla sostituzione del ministro della Giustizia Nasip Naço con il collega del Movimento Socialista per l’Integrazione, Ylli Manjani. Un avvicendamento voluto da Ilir Meta, l’alleato di maggioranza del governo Rama che – probabilmente per zittire le illazioni di entrambi gli schieramenti secondo le quali sarebbe proprio il partito clientelare di Meta il principale oppositore della riforma – decise di affidare il delicato incarico di guardasigilli al più noto ed esperto giurista del partito.
La proposta prevedeva un pacchetto di 58 modifiche alla Costituzione albanese ed è stata sottoposta al vaglio della Commissione di Venezia, organo consultivo del Consiglio d’Europa. Il documento ha ottenuto a dicembre 2015 un primo parere parzialmente positivo, accompagnato da una serie di raccomandazioni e suggerimenti.
A preoccupare tanto gli internazionali quanto il Partito Democratico di Lulzim Basha (attualmente all’opposizione) era la possibilità di nominare i componenti delle istituzioni giudiziarie con i tre quinti dei voti in aula. Visto e considerato che l’attuale maggioranza di governo è oltre questa soglia, allo stato attuale la procedura prevista non renderebbe vincolante il parere dell’opposizione.
Il responso definitivo della Commissione di Venezia è giunto a metà del marzo 2016: il pacchetto di riforme è stato ritenuto compatibile con gli standard internazionali. La palla è ritornata quindi al Parlamento albanese, con l’onere e l’onore di approvare il testo e di portare a casa una riforma storica.
Riforma si o no
Il 18 maggio scorso però il Partito Democratico ha presentato un nuovo progetto di riforma, emendando quello a cui la Commissione di Venezia aveva dato parere positivo. Il primo ministro Edi Rama ha tacciato le nuove proposte come una mossa per far deragliare la riforma ed ha accusato il PD di bloccare l’Albania in una zona grigia, minando il processo di integrazione nell’UE.
Su pressione degli ambasciatori stranieri, i negoziati tra maggioranza e opposizione sono però ripresi. Qui siamo arrivati al presente: al momento non c’è alcuna certezza su quando e come si potrà giungere ad una versione condivisa dell’agognata riforma giudiziaria.
Un sondaggio commissionato dal governo Usa ad aprile ha rivelato che il 91% degli albanesi è a favore della riforma giudiziaria e che è radicata la convinzione che la comunità internazionale sia più interessata alla riforma della controparte albanese. Appena il 18% degli intervistati ritiene che la riforma sia sostenuta invece da giudici e procuratori.
A seguito della pubblicazione dei risultati di questo sondaggio, la comunità internazionale ha fatto appello alla politica albanese affinché presti ascolto alla voce del 91% dei cittadini. Più in generale, Bruxelles ha ricordato in ogni occasione, per ultimo con una risoluzione del Parlamento europeo del 14 aprile scorso, che la riforma al sistema giudiziario è determinante per l’avvio dei negoziati di adesione con l’Albania, paese candidato all’Ue dal giugno del 2014.
Elezioni e lotte intestine
Le prossime elezioni politiche in Albania sono previste per giugno 2017. In questa prospettiva un’altra riforma si fa sempre più urgente – quella del sistema elettorale, per la quale è stata appena istituita una commissione ad hoc che però non ha ancora avviato i lavori – i partiti si dedicano alle lotte intestine.
Ne sa qualcosa il Partito Socialista di Rama, che ha dovuto affrontare recentemente l’”insubordinazione” di alcune delle sue figure di spicco, tra cui l’infaticabile Ben Blushi. Giornalista prestato alla politica, dal 2001 al 2005 è stato ministro del governo socialista di Fatos Nano, prima dell’Istruzione e poi degli Affari regionali.
Diviso tra il Parlamento e la scrittura – i suoi romanzi si sono rivelati autentici casi letterari e nel 2014 gli sono valsi il Premio dell’Unione Europea per la letteratura – Blushi è stato l’unico a ricordare a Rama che il suo mandato di presidente del partito era ormai scaduto da un pezzo, anche se tutti facevano finta di niente.
In effetti, Rama, è stato eletto alla guida del Ps nel 2005, in seguito alle dimissioni di Fatos Nano, e riconfermato successivamente nel 2009. Il mandato, di durata quadriennale, avrebbe dovuto essere rinnovato nel 2014, solo che nel frattempo le elezioni politiche gli hanno affidato la guida del paese e Rama ha ritenuto tacitamente rinnovato anche il mandato a capo del partito. Rama, dopo l’appunto di Blushi, ha dovuto ammettere che le regole del partito erano state violate, ma ha giustificato tale inadempienza con la difficile situazione in cui versava il paese quando la sinistra ne prese le redini: il lavoro del governo non poteva certo fermarsi per dare il tempo al Partito Socialista di adempiere alle proprie incombenze statutarie.
Banditi e congressi
Dopo lunghe polemiche è stata comunque annunciata la revisione dello statuto del partito ed è stato indetto il congresso nazionale, per l’adozione del nuovo testo e per il rinnovo delle strutture dirigenziali. Nel frattempo Blushi non ha mai cessato di criticare la guida del Ps e del paese intero in ogni occasione, dalle riunioni del Ps alle sedute plenarie, con editoriali sulla stampa e con un recentissimo libro-appello rivolto ai colleghi socialisti, dove si sottolinea puntualmente il fallimento della “Rinascita socialista” (questo lo slogan di Rama nel 2013) e l’assenza di democrazia all’interno del partito, ridotto “ad un covo di banditi e imprenditori, né di sinistra né di destra”.
Al congresso, tenutosi il 19 marzo scorso, Rama ha di fatto tolto agli sfidanti la possibilità di concorrere e proponendo al posto del voto di preferenza una sorta di referendum sull’opportunità di considerare automaticamente rinnovato il suo mandato. Un’iniziativa poco democratica e di successo, che ha sancito l’ennesimo plebiscito per il capo: affluenza all’85% e voti favorevoli al rinnovo automatico del mandato nettamente preponderanti, intorno al 95% (erano 91.000 gli iscritti invitati al voto). In poche parole è stato adottato il nuovo statuto del partito e blindato il mandato del suo leader. Inutili gli sforzi della “voce contro” Ben Blushi, che aveva raccolto attorno a sé alcuni volti storici del partito, anch’essi dissenzienti: Arta Dade, Mimoza Hafizi, Namik Kopliku.
I cani
La questione del mandato può dunque ritenersi archiviata: Rama continuerà a guidare governo e partito, sorvolando regolarmente su ogni critica o accusa che gli viene mossa, dal suo stesso partito o dal campo avversario. “I cani abbaiano e la carovana passa”, è stato il commento del premier in merito al dissenso dei suoi colleghi socialisti.
Cosa faranno ora “i cani”? Esclusi dal rinnovo delle strutture dirigenziali, affidate alla fedelissima squadra governativa, Blushi e gli altri dovranno decidere nei prossimi mesi se continuare a militare nel Ps o, come suggeriscono alcune voci, provare a creare una loro formazione alternativa.
È probabile però che quello di Blushi non sia un reale tentativo di prendere le redini del partito, né tanto meno di fondarne un altro, ma piuttosto un avvertimento alla dirigenza attuale. Un invito a non pensare troppo precipitosamente ad un possibile avvicendamento tra Edi Rama ed il suo delfino, Erion Veliaj, il sindaco di Tirana visibilmente determinato a ricalcare le orme del maestro: da Tirana al paese.
La strada è ancora lunga, ma politici del calibro di Blushi e Dade potrebbero aver voluto ricordare che ci sono persone che militano nel Ps da più tempo di Rama e Veliaj messi insieme, e che non intendono lasciare il partito nelle mani dell’ultimo arrivato. Un errore già commesso nel 2005.
Ristagno PD
Dall’altra parte, il Partito Democratico di Basha, dopo i due disastrosi suffragi delle politiche del 2013 e delle amministrative del 2015, si prepara alle prossime elezioni senza idee e cambiamenti: con una tendenza suicida ad andare a ritroso, verso le certezza della vecchia guida di Berisha.
Nelle riunione del gruppo parlamentare del partito il leader de iure Basha si è più volte dovuto scontrare con le contrarietà di chi, ancora fedele al leader de facto Berisha, chiede un Pd più aggressivo e più presente in piazza ed una linea più efficace in Parlamento, dove Basha però non entra, perché nel 2013, quando si votò, era ancora sindaco della capitale.
Nell’arena parlamentare, il vecchio Berisha continua così a dare “il meglio” di sé: ha ancora l’energia e la memoria degli anni migliori, parla per ore e riesce a tenere testa come pochi altri ai suoi antagonisti, insomma rimane il punto di riferimento per i colleghi parlamentari. Grande protagonista anche della rete, denuncia quotidianamente (e con largo anticipo sul giovincello Basha!) presunti scandali e abusi della maggioranza, sempre con grande inventiva ed efficacia narrativa, affidando però gli scoop a fantomatici “cittadini digitali” che lo hanno eletto ad affidatario prediletto degli scandalosi retroscena della politica albanese.
Ufficialmente ritirato dalla dirigenza del Pd, dal suo ufficio nel palazzo più alto ed elegante della capitale, a pochi piani da quelli della Delegazione Ue, Berisha non ha mai rinunciato al suo ruolo di guida del partito, e Basha si è trovato in mezzo alle due correnti: tra la vecchia guardia che ancora acclama Berisha e i più giovani che invece chiedono un rinnovamento radicale.
Sempre tra le polemiche, il Pd ha avviato proprio in questi giorni i preparativi per le prossime elezioni e ha già predisposto il nuovo programma elettorale, che sarà ora presentato in un tour in tutto il paese. In questa circostanza, Basha ha annunciato anche la nuova squadra con i responsabili delle dodici strutture regionali del partito.
Non è passato inosservato che ben sette sono ex ministri del governo Berisha e immediate sono state le rimostranze per una riorganizzazione decisa senza consultare la base del partito e che riprende l’immagine della sconfitta del 2013.
Polemiche a parte, le macchine elettorali di Ps e Pd sembrano pronte a darsi battaglia. Le riforme invece rimangono ancora lontane ed è probabile che si risolvano, come di consueto, allo scadere del tempo e con pochi e frettolosi provvedimenti.