“… se fossi un balcanico, se fossi un balcone, il balcone balcano” cantava Elio ne “La canzone del I maggio”. Con la fine delle guerre che hanno portato alla dissoluzione della ex Jugoslavia un nuovo spazio si è creato nella cartina europea: un buco nero, sgangherato, esotico, eccentrico, sanguigno e bizzarro. Dove la gente spara in aria con il kalashnikov per dimostrare la sua ilarità e brinda fino a frantumare i bicchieri. Così sono ri-nati i Balcani come un’idea di ferinità, caos e violenza liberatrice. Tutto quello che spaventa ma allo stesso tempo attrae le società europee riversato in un’area del mondo. Poi sono arrivati Goran Bregović ed Emir Kusturica e hanno venduto un brand da esportazione, che in Europa occidentale ha trovato particolari estimatori. In questo blog offriremo alcuni frammenti culturali dallo spazio jugoslavo e post-jugoslavo che hanno poco in comune, se non quello di riuscire sconosciuti a chi in quei luoghi va a cercare i Balcani.
di Francesca Rolandi
Čefuri raus! (2008) è un libro che sorprende il lettore portandolo in un mondo inaspettato. Sorprende in primo luogo perché racconta come anche in Slovenia, un paese dal verde quasi fiabesco che conta in tutto poco più di due milioni di abitanti, esistano le banlieue, un mix di esclusione sociale in tutto e per tutto simili a quelle delle metropoli.
In secondo luogo il romanzo svela come queste periferie, il cui emblema si chiama Fužine, siano popolate dalle seconde generazioni dei figli di immigrati provenienti dalla ex Jugoslavia.
Molti dei quali, quando sono arrivati nella capitale Lubiana, non erano neppure stranieri, per poi diventarlo successivamente con l’indipendenza.
“Terroni, fuori!”, questa potrebbe essere una traduzione del titolo (anche se i čefuri sono letteralmente gli immigrati in generale), che rispecchia l’atteggiamento di chiusura della città del centro verso la periferia, ricordandoci come i modelli si replichino a distanza di chilometri, a prescindere da quali siano le reali differenze linguistiche e culturali che separano gli autoctoni dagli immigrati.
Ma anche la prospettiva inedita dell’Altro all’interno di una società particolarmente omogenea, in una quieta città di 200.000 abitanti
L’autore Goran Vojnović è stato in parte testimone e protagonista della storia che racconta.
Nato a Lubiana nel 1980 da madre croata e padre bosniaco, Vojnović è stato un caso letterario, con il suo primo romanzo, tradotto immediatamente in quasi tutte le repubbliche confinanti, in cui racconta le storie di ordinaria emarginazione di un gruppo di teenager di Fužine, con origini serbe, bosniache, macedoni.
All’uscita il libro aveva attirato le ire della polizia slovena, che aveva reputato diffamatorio il modo in cui dipingeva le forze dell’ordine – la denuncia fu successivamente ritirata solo per intervento della Ministra degli interni.
Dal romanzo è stato tratto nel 2013 anche un film dallo stesso titolo, frutto di una coproduzione sloveno-bosniaca, che, grazie anche alla presenza di alcuni attori simbolo della cinematografia bosniaca, ha totalizzato un piccolo record di incassi nella regione.
Dalla penna dell’autore, inoltre, è uscito nel 2012 un secondo romanzo, Jugoslavija moja dežela [Jugoslavia, patria
mia], che si presenta come un tentativo di tematizzare il rapporto con il paese che non esiste più guardandolo attraverso il prisma della sua dissoluzione.
Dopo diverse edizioni in numerose lingue europee, il primo romanzo dell’autore è stato finalmente tradotto alla fine del 2015 anche in italiano dalla casa editrice udinese Forum anche in italiano, con il titolo Cefuri raus! Feccia del Sud via da qui.