Storie di viaggio in Kurdistan
di Linda Dorigo
La terra non dimentica e forgia il carattere dei popoli che la abitano. La terra ha memoria, e ad Halabja si cammina veloci per non ascoltarne lo strazio sotto i piedi. “Qui non sono ammessi i membri del partito Baʿth” si legge all’ingresso del cimitero. Vent’anni dopo, tra centinaia di lapidi, Ali ha ritrovato la sua.
Nato tre mesi prima dell’attacco chimico, è stato salvato dalla premura di un soldato iraniano che lo ha consegnato alla futura madre adottiva, Kubra, di Mashhad, al confine con l’Afghanistan.
Qui ha vissuto per ventidue anni – oggi ne ha 28 ed è stato ribattezzato Zmnako – parlando persiano e pregando alla maniera sciita.
Ali non avrebbe immaginato di perdere anche la nuova mamma in un incidente d’auto.
“Non avevo documenti e mi guadagnavo da vivere facendo lavoretti. La sera guardavo la tv e la cercavo inutilmente in cucina o seduta accanto a me sul divano”.
Tramite un’organizzazione iraniana, Ali ha preso contatti con il Ministero dei martiri e Al-Anfal per ottenere il passaporto iracheno. È stato così informato che 43 famiglie ad Halabja erano alla ricerca dei figli scomparsi e si è sottoposto al test del Dna.
“Sono rimasto sconvolto per mesi. Succede solo nei film. I primi tempi mi svegliavo e avevo paura che non fosse vero. Oggi mi domando ancora se non sia un sogno essere qui, a casa, con lei”.