L’ultima notte del Rais

«Quand’ero bambino, a volte il fratello di mia madre mi portava con sé nel deserto. Più che un ritorno alle origini, per lui quelle escursioni erano un’abluzione dell’anima».

di Lorenzo Bagnoli

L’ultima notte del Rais comincia da qui, la notte tra il 19 e il 20 ottobre 2011, a Sirte. Il libro è un’indagine nell’animo umano di Muhammar Gheddafi, uno scandaglio (salvifico, per certi aspetti) dei sentimenti e delle turbe di uno dei leader più controversi dell’altra sponda del Mediterraneo. La cui caduta fa sentire la sua eco ancora.

L’autore Yasmina Khadra, pseudonimo dell’ex ufficiale algerino Mohamed Moulessehoul, tratteggia un immaginario interiore labirintico, popolato di “voci” e di fantasmi. Un immaginario che il carisma del “Fratello Guida”, come lo chiamano tutti, ha imposto come una maledizione sulle   genti che ha avuto l’ardire di tenere insieme. E che senza di lui hanno perso un motivo per riconoscersi sotto una stessa bandiera.

L’ingombrante anima di Gheddafi lo ha reso a volte visionario o, a volte (più spesso) “completamente cieco”, come dice lo stesso autore in un’intervista all’Ansa. Ma fin dall’inizio della biografia di Gheddafi si comincia a leggere questa follia, lucida solo a sprazzi, che lo renderà quel che è stato. Venuto dal profondo Fezzan, la regione dei beduini dove ordine e disciplina sono instillati con la violenza, non perderà mai le sue radici, per quanto lontano si possa spingere. Perché dal Fezzan non ci si può affrancare. E nelle sue origini si trova il seme di questa pazzia.

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Vanesio, egoistico, irascibile, permaloso al punto da diventare puerile, il Gheddafi di Yasmina Khadra si forgia sui pensieri lasciati ai posteri dal Rais e su aneddoti, avvolti nel mistero, di cui la sua vita fu disseminata. A raccontarli all’autore sono state persone che hanno incontrato Gheddafi, tra cui spicca un alto funzionario che lo conobbe a Mosca nel 1980. Da questo tesoro di storie nascono “personaggi” del romanzo come la “voce” interiore che ha ispirato a Gheddafi la Jamahiriya, il Libro Verde della Rivoluzione, oppure il Van Gogh dell’autoritratto con l’orecchio tagliato. Due visioni che sono un contrappunto costante dell’interiorità di Gheddafi, mentre fuori infuria la guerra. Il Van Ghigh senza orecchio, da cui nella realtà cercherà di curarsi – invano – anche con l’aiuto di un imam, si palesa in tutte le fasi decisive della vita del rais. Così come nei momenti di solitudine, la vera rovina di Gheddafi secondo la lettura che dà del dittatore Khadra.

Tribale e violento, anche nel suo modo di relazionarsi con i sottoposti che lo accudiscono nei luoghi in cui cerca di nascondersi dai “controrivoluzionari”, il Gheddafi di Khadra suscita empatia per il destino già scritto che lo aspetta, per l’inutile agitarsi nella speranza di evitarlo, per l’incurabile megalomania che rende il personaggio sprezzante fino all’ultimo secondo. Mano a mano che la vita gli sfugge, però, anche le sue ossessioni si ridimensionano, i suoi tratti folli sbiadiscono. Perché quella follia che lo muove è la stessa che ha spinto il suo popolo a venerarlo come un Dio. Senza, Gheddafi non esiste.

Le ossessioni, all’apice del delirio, si incarnano nel fantasma di Saddam Hussein, nemesi del Rais libico, con il quale Gheddafi comincia a parlare. Ed è in una battuta di questo surreale dialogo che Gheddafi rivela il suo tratto messianico, il più inquietante.

«La mia sorte sarà diversa dalla tua, Hussein. Il mio destino è nelle mie mani. E Dio anche».

Gheddafi si sente il creatore della Libia. Non ne è solo il padre della patria.

«La Libia è il mio numero di magia, il mio Olimpo personale. Qui, nel regno di cui sono sovrano umilissimo, gli alberi stanno in piedi da quando si sono messi sull’attenti al suono delle mie trombe. Qui nella terra dei poeti e della scimitarra, ogni fiore che sboccia ha fiducia in me, ogni ruscello che sgorga tra le pietre tenta di raggiungermi, ogni uccellino che pigola nel nido canta le mie lodi.

E poi cos’è successo? Perché di punto in bianco l’aya (versetto del Corano, ndt) si è capovolta e il popolo soggetto ha preso a vilipendere il mio verbo?

Che dolore!

Sono come il buon Dio: il mondo che ho creato si è rivoltato contro di me».

Ma quella Libia, probabilmente, è stata solo un suo fantasma. Un sogno di onnipotenza dal quale il dittatore s’è svegliato morto.

 

L’ultima notte del rais

Sellerio editore, 2015

165 pagine

15 euro