Il “manicomio” di Leros

Storie del Mediterraneo

testo e foto di Giuliana Rogano

Storie di abbandono, di diversità, di emarginazione. Dolore e sofferenza impregnano i muri del complesso di edifici affacciato sullo splendido porto naturale di Lakki. Costruito negli anni ’30 dagli italiani come base militare, ha ospitato i soldati fino agli anni ’50, quando è diventato il “manicomio” di Leros per i malati, i disadattati, i diversi, cioè coloro che non trovavano spazio nella società greca dell’epoca.

Un luogo infame, in cui durante il regime dei Colonnelli furono trasferiti anche i detenuti politici e gli orfani della guerra civile.

Le scritte sui muri sono il segno della coercizione mentale e psicologica cui erano sottoposti i “rinchiusi”. Da anni il complesso è in stato di abbandono ma, a conferma del fatto che ci sono luoghi che sembrano dover assolvere per sempre la stessa funzione, in una parte di esso, quella all’epoca destinata alle donne, l’UNHCR, nell’autunno 2015, ha istituito un centro di accoglienza per i profughi siriani.

A marzo 2016, dopo l’accordo tra UE e Turchia, UNHCR ha abbandonato il centro di accoglienza e l’isola. Leros, oggi, è una delle 5 isole dell’Egeo orientale costretta ad avere un “hotspot”, ovvero un campo profughi, nell’area di Lipida, proprio quella dell’ex carcere psichiatrico

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Le immagini di Giuliana Rogano sono state realizzate nell’ambito della spedizione “Progetto Mediterranea” www.progettomediterranea.com