La capitale armena Yerevan vive ancora momenti di tensione dopo che ieri un gruppo di uomini armati ha fatto irruzione in una stazione di polizia prendendo in ostaggio alcune persone
di Simone Zoppellaro, da Yerevan (Armenia), tratto da Osservatorio Balcani Caucaso
Una notte è passata senza che la crisi degli ostaggi in corso a Yerevan si sia risolta. Uno stallo, tutti con il fiato sospeso. Gli ostaggi sono ancora in mano degli insorti nel quartiere di Erebuni, a più di 24 ore dall’attacco alla caserma. Alta è la tensione.
Ieri per la capitale armena è stata una giornata infinita, iniziata alla prime luci dell’alba, ma non è bastato. Oltre a un morto, confermato, ci sono stati alcuni feriti negli scontri fra la polizia e gli assalitori. Centinaia di fermi di polizia e arresti sono stati effettuati dalle forze dell’ordine nella capitale e in altre città. Una parte delle persone è già stata rilasciata. Ma gli insorti sono soli, isolati, e il loro appello di scendere in piazza e protestare contro il governo è caduto nel vuoto.
Ma procediamo con ordine. Ieri, verso le 5 del mattino ora di Yerevan, un gruppo di uomini armati ha preso d’assalto una stazione di polizia nel quartiere di Erebuni. Come riportato dalla versione armena di Radio Free Europe, una donna residente nei paraggi ha raccontato di aver sentito diverse esplosioni seguite da colpi di arma da fuoco.
Un poliziotto è morto negli scontri, Artur Vanoyan, padre di tre figli, e due suoi colleghi sono rimasti feriti. Due feriti ci sono stati anche dalla parte degli assalitori. Secondo quanto riportato dal parlamentare Pashinyan, sopraggiunto in seguito per tentare una mediazione, ci sarebbero almeno 26 insorti presenti nella stazione di polizia. Alcuni di loro, secondo quanto riferito dai media in queste ore, sarebbero veterani del conflitto in Nagorno-Karabakh. Il gruppo si fa chiamare “Sasna Tsrer”, dal nome di un antico poema epico armeno, e fra loro c’è anche il parlamentare Varuzhan Avetisyan.
Al momento dell’assalto sono stati presi in ostaggio otto poliziotti, uno dei quali è stato subito rilasciato. Fra gli ostaggi, anche il vice capo della polizia armena, Vartan Yeghiazaryan, e il numero due della polizia di Yerevan, Valeri Osipyan, tenuto in ostaggio – secondo quanto riportato dal portale di news Civilnet – dopo essere sopraggiunto per cercare una mediazione con gli assalitori.
Gli insorti hanno diffuso un video in cui chiedono l’immediato rilascio di Jirair Sefilyan, leader del loro movimento politico e popolare eroe della guerra in Nagorno-Karabakh, che era stato arrestato a fine giugno per possesso e trasporto di armi illegali. Un arresto che molti armeni ritengono politicamente motivato, data anche la posizione intransigente con la quale Sefilyan si oppone a qualsiasi possibile accordo con l’Azerbaijan per la questione del Karabakh.
Gli insorti hanno chiesto inoltre il rilascio di altri prigionieri e le dimissioni del presidente armeno Serj Sargsyan, chiedendo all’esercito di ribellarsi e alla popolazione di scendere per strada a protestare. Né l’una né l’altra cosa sono però avvenute, a dimostrazione dell’isolamento del gruppo di assalitori, nonostante la popolarità di Sefilyan.
Sdegno è stato espresso invece da molti armeni, anche attraverso i social media, per l’ondata di arresti e fermi di polizia che sono seguiti all’assalto alla stazione di polizia. In molti casi, a essere presi di mira sono stati uomini ritenuti vicini a Sefilyan e agli insorti.
In seguito all’assalto, la polizia ha provveduto a chiudere alcune strade del quartiere, sono stati schierati cecchini e alcuni mezzi corazzati. È iniziata un’infinita mediazione che però non ha prodotto, a più di 24 ore dall’accaduto, alcuna soluzione. La crisi degli ostaggi di Yerevan prosegue, mentre sono in molti a temere che si giunga a un ulteriore spargimento di sangue.
Il Servizio di Sicurezza armeno ha rilasciato nella giornata di ieri due dichiarazioni ufficiali sull’accaduto, in cui si legge che le “autorità armene hanno il pieno controllo della situazione e hanno intrapreso tutte le misure necessarie per risolvere la questione”. Nei documenti, si conferma inoltre che sono in corso negoziazioni con gli insorti. Eppure lo stallo prosegue a Yerevan.
Molto spazio è stato dato in queste ore dai media internazionali alla crisi armena, ma si tratta in parte di un equivoco che parte dal presupposto che sia messa a rischio – come avvenuto in Turchia poco prima – la sicurezza dello stato. In realtà la situazione in Armenia è molto diversa, e dipende in larga parte da dinamiche locali, in parte personali, in parte determinate dai quattro giorni di feroci combattimenti che si sono avuti in Karabakh a inizio aprile.
Una svolta, nella politica della regione. Le autorità armene hanno a lungo esitato nel riconoscere la perdita di alcuni chilometri nella frontiera del Karabakh, e subito dopo l’accaduto è tornata all’attenzione del pubblico la necessità urgente di cercare un accordo di pace, mai raggiunto in questa guerra infinita.
Nel dibattito è intervento anche il veterano Jirair Sefilyan, uomo di riferimento degli insorti, che ha criticato in maniera molto ferma il presidente e il governo per il territorio perduto e ogni possibile concessione all’Azerbaijan. Duro, intransigente e ultra-nazionalista, Sefilyan è un sintomo di una politica, quella armena, in cui pesa ancora molto l’elemento militare. Diversi esponenti di spicco e parlamentari sono infatti veterani di quell’esperienza, e la componente del Karabakh è una fetta importante del potere armeno di oggi, a iniziare dallo stesso presidente Sargsyan – che è originario della regione contesa.
L’arresto di Sefilyan, avvenuto a fine giugno, ha fatto molto scalpore, e sono molte le voci che ho raccolto a Yerevan che lo ritenevano un atto politicamente motivato. Ancora una volta, purtroppo, la politica armena fa ricorso alla violenza. Se sono in molti in queste ore, nei social media armeni, a ritenere in parte fondate le critiche mosse dagli insorti alle autorità – anche e soprattutto in merito alla deriva autocratica che starebbe prendendo il partito di governo – è unanime la condanna al ricorso alla violenza come possibile soluzione.
Durante la notte è avvenuto il rilascio di alcuni ostaggi, e l’esitazione delle autorità armene a ricorrere alla forza per risolvere la crisi si spera sia un buon auspicio. Presto per dirlo, però. A Yerevan può ancora accadere di tutto.