In questo tempo estivo vi racconteremo brevi note di viaggio, incontro, vita vissuta in una città che ognuno di noi ha scelto per i più diversi motivi. Oltre le guide turistiche, dentro strade e su muri, nelle piazze e in piccoli ricordi.
di Cora Ranci
L’arrivo è una stazione dei pullman come le altre, a Cuba. Strutture in cemento armato, le scritte “giustizia e libertà” sui muri. Turisti accaldati nelle sale d’aspetto, attese infinite. Fuori dai cancelli, tanti signori coi cartelli. Uno porta il nostro nome: Antonio y Cora. Vamos, il taxi è parcheggiato proprio qui. Che in realtà – ci spiega orgoglioso mentre entriamo nel centro storico, seduti sui sedili in pelle bollenti del sole – quella macchina dell’anno 197equalcosa, non è un taxi dello stato, ma è particular: cioè è proprio suo, proprietà privata di questo signore alto e magro, dal portamento elegante. Ci lascia alla nostra casa, gestita da una sua amica?, cugina?, cognata? Non si capisce mai in quali trame si infila un turista a Cuba. E poi questo signore automunito non richiesto dobbiamo pagarlo noi, beninteso. Ma va bene così, il caldo è insopportabile e non è proprio il caso di stare a questionare per due spicci.
I tipici malumori da turista che si sente gabbata durano poco in questa città malinconica già dal nome. Le facce serie delle persone si aprono in sorrisi inaspettati, doni impagabili, occhi che raccontano vite intere, impressi nella memoria e in qualche fotografia che forse stamperò per ritrovarmela sbiadita, tra qualche anno, e per ripensare a quella volta, a Santiago de Cuba.
Eccoci nella città storica della rivoluzione cubana. Seconda città per dimensioni e importanza, dopo la capitale, 870 chilometri a ovest. Siamo nel cuore dell’Oriente di Cuba, la regione più agricola, economicamente più povera, ma ricchissima di storia e cultura. Santiago è la sua perla, dice la Lonely Planet. Spiace ammetterlo, ma sembra proprio così.
Dietro il suo alienante malecon, il lungomare di recente costruzione, si staglia la Sierra Maestra, la catena montuosa dove a lungo i barbudos guidati da Fidel Castro ed Ernesto Che Guevara si sono asserragliati per combattere il regime dittatoriale di Fulgencio Batista. È da quei monti laggiù che è partita la rivoluzione. La foschia causata dall’umidità ci mostra il profilo marrone della Sierra.
Immagina – penso – quanta speranza poteva infondere nei poverissimi cubani degli anni ’50 sapere che a pochi chilometri di distanza c’erano centinaia di giovani uomini e donne in tuta mimetica e fucile, pronti a morire per la libertà.
L’orgoglio di questa città, da cui un vento nuovo ha iniziato a soffiare sulla Isla intera, è impresso su tutti i muri. La propaganda del regime dei Castro non fa sconti, incalza sul valore rivoluzionario di Santiago. Fino a riprodurre i fori dei proiettili sulla facciata della Caserma Moncada, dove avvenne il celebre assalto, il mitico 26 luglio 1953. Quel tentativo fallì: un terzo dei 160 ribelli guidati da Fidel e Raul Castro fu catturato e torturato a morte. Coloro che, come il futuro líder maximo, riuscirono a fuggire nella Sierra Maestra, furono catturati una settimana dopo. Il giovane avvocato Fidel fu incarcerato nella prigione della piccola Isla de la Juventud, la stessa dove nel 1869 gli spagnoli avevano rinchiuso José Martí, eroe nazionale dell’indipendenza cubana.
Visitiamo la caserma, luogo di dolore ma anche simbolo dell’inizio della rivoluzione. In queste stanze spoglie, tappezzate di foto e reliquie del passato, impariamo pezzi fondamentali di storia. Ma soprattutto capiamo come il regime vuole presentarsi: sì, sembra dire questo luogo, la storia ci ha assolto. Prima era tutto brutto, ora è tutto bello. Di sicuro – penso – un po’ di giustizia è stata portata. Ma la storia non giudica, non è questo il suo compito. Ora voglio assaporare, capire.
Poi camminiamo per le strade, il sole acceca, il caldo non dà tregua. Si cammina lenti, in mezzo alle persone sedute sulla porta di casa. Lo sguardo non resiste, penetra nelle abitazioni private: meravigliosi pavimenti in piastrelle, ventilatori del secolo scorso, televisori accesi ma talmente malandati che quasi non distingui le immagini in movimento. Case coloniali, tanto belle quanto malandate. La decadenza che a L’Avana ci avrebbe travolto, qui a Santiago semplicemente ci affascina ma ci intristisce anche un po’.
E poi tanti vecchi, immobili, sprofondati nelle poltrone polverose. Chissà a cosa pensano. Penso ai vecchi di tutto il mondo, al loro stare silenzioso sulle soglie delle case.
Ora basta. Torniamo nel luogo dove ci sentiamo più a casa, che il silenzio delle retrovie fa troppo rumore. Andiamo alla Casa de la Trova, dove sicuramente c’è della musica, e che musica. Cercavamo diversivi, e invece queste note lo allargano a dismisura il senso di inquietudine e sospensione che aleggia in questa città. Siamo nella patria del son, nato proprio qui a fine ‘800 dalla mescolanza tra i ritmi europei e quelli degli schiavi africani. Sono musiche nate dal dolore, dalla consapevolezza di un’ingiustizia. Santiago, quante ne hai viste.
Ma presto inizia la salsa, ed è subito festa. Canzoni mitiche, ci aspettiamo che suonino proprio quelle, e quelle ci vengono date in pasto (Chan Chan, Comandante Che Guevara, Guantanamera). Tutto come previsto, tutto perfetto. I sorrisi abbondano e uniscono in un’unica e irresistibile aria di fiesta cubani e turisti. Cubani che sperano di farsi offrire una birra in lattina, e fanno girare come trottole ragazze europee allegre, alcune intimidite, altre più spavalde. Turisti che abbozzano goffi passi di salsa imparati chissà dove e che si scambiano consigli su dove “merita” andare, a Cuba.
Intanto il sole scende e a Santiago si inizia a respirare. La notte riserverà molte altre sorprese, ma per noi la giornata potrebbe anche finire così, sulle note di questo allegro motivo che risuona ancora nella testa mentre cerchiamo di addormentarci…
El cariño que te tengo
No te lo puedo negar
Se me sale la babita
Yo no lo puedo evitar
NB. Questo stesso viaggio – che come forse avrete capito è stato per noi parecchio memorabile – ha ispirato la penna di Antonio Marafioti che ne ha scritto addirittura un e-book dal titolo Desde Cuba. Potete scaricarlo qui.