Con l’anima in spalle

Quindici pensieri raccolti lungo il Cammino tra Sarria a Finisterre

di Mauro Mercatanti

Articolo da leggere mettendo in sottofondo questo brano:

“E mentre marciavi con l’anima in spalle
vedesti un uomo in fondo alla valle, che aveva il tuo stesso identico umore,
ma la borraccia di un altro colore”.
(semicit.)

1.
Cominciamo dalla battuta cult di Lercio, così ci togliamo subito il pensiero: “Fa un viaggio in India per ritrovare se stesso e dopo 2000 km a piedi scopre d’essere un coglione”. A me ne basteranno 200 scarsi. Però parto avvantaggiato, perché un po’ lo so già.

2.
Se hai deciso di camminare da Sarria fino a Santiago (e oltre), atterrare a Santiago e andare in autobus fino a Sarria non è una buona idea. Indubbiamente è il modo più comodo e veloce ma mentre poi arranchi per arrivare distrutto in un posto dove stavi già, corri il rischio di sentirti (per l’appunto) un po’ un coglione.

3.
Quando a Sarria mi incammino mi accorgo da subito che mi piace essere un viandante (attenzione: un viandante, non un pellegrino). E mi piace la relazione molto sobria che si instaura tra i viandanti e gli ospitanti. Il viandante è molto vulnerabile e l’ospitante gli dà l’essenziale: un posto dove stare, qualcosa da bere, qualcosa da mangiare, a un prezzo ragionevole. Con nessuno che si sente in debito e nessuno che si sente in credito. That’s all folks, senza inutili cerimonie e sovrastrutture.

1

dida: Ognuno cammina col suo passo.

4.

La gente del posto solitamente è gentile coi viandanti, principalmente perché sono andanti via. Se fossero restanti probabilmente sarebbe diverso. Perché la gente del posto non gli dà fastidio se attraversi il loro posto. Basta che poi non ti metti in testa che il loro posto diventa anche il posto tuo. Perché, insomma, non è che in questo posto c’è posto per tutti. E’ così che la pensa la gente del posto, in qualunque posto del mondo, più o meno.

5.

Il Cammino di Santiago è un ottimo modello per capire la potenza della religione.

Funziona così.

Basta disegnare un simbolo che racconta una destinazione e una freccia che indica una direzione e il gioco è fatto.
Non ci credi? Prova a perdere di vista la freccia, a vagare solitario col panico di esserti perso, a passare davanti a due cani randagi che ti fissano in modo apparentemente famelico e poi, quando sei a un passo dal terrore, ritrovala e poi dimmi se non saresti pronto a inginocchiarti davanti alla freccia e adorarla come una stella cometa. C’è una retta via, una Terra Promessa (in questa o in un’altra vita, cambia poco) e le indicazioni per percorrere la prima e raggiungere la seconda: non serve altro per aver fede.
O forse sì: bisogna anche rinunciare all’idea di avere una propria strada, una propria destinazione e una propria traiettoria.
Cosette da nulla, insomma.

2

dida: Pensi che questa sia solo vernice gialla? Perdila di vista per un po’ e poi ne riparliamo.

6.
La Compostela è il premio per chi fa tutto il Cammino fino a Santiago.
Trattasi di una pergamena attestante l’Impresa.

Ecco, io quella non l’ho ritirata, perché c’è scritto che non ne hai diritto se non affronti il Cammino con “spirito cristiano” (come quel prete che, parecchi anni addietro, ci spiegò che non potevamo giocare a basket nel campetto dell’oratorio perché, sì insomma, lì portavano avanti “un certo tipo di discorso”). E poi perché mi piace l’idea di fare le cose che mi sono messo in testa di fare, anche in assenza di riconoscimenti e ricompense che non siano una buona birra, che mi compro io o che mi offre un viandante che abbia voglia di compagnia.

7,
Ricordo un libricino in cui si sosteneva che i primi sorsi di birra sono uno dei piccoli grandi piaceri della vita. Ebbene, ho scoperto che anche gli ultimi non sono da meno, se impari a bere con moderazione. Perché c’hanno quel sapore di cosa buona che sta finendo e di cui ti sei imposto di non abusare (almeno finché devi fare 30 km a piedi al giorno). Questo sarebbe già un grande insegnamento spirituale, se solo riuscissi a praticarlo anche in condizioni normali. Annoto: se non abusi delle cose buone, te le gusti molto di più. Mi direte: e dovevi fare il Cammino di Compostela per scoprire questa cazzata? Vi dirò: sì.

3

Dida: Sono diretto alla tomba di San Giacomo e continua ad apparirmi San Miguel. Bizzarro, nevvero?

8.

Un’altra cosa che ho imparato è che posso dormire insieme alla mia Carogna.

Mi spiego.

Tutti abbiamo una Carogna Personale, la mia ho scoperto che ha le fattezze dell’Urlo di Munch. Ebbene, una notte che non mi faceva dormire, anziché scacciarla e infamarla come faccio sempre, ho provato ad abbracciarla, a calmarla un po’ e ad addormentarci insieme, guardando fuori dalla finestra, mentre si spegneva la luce del giorno. E sai cosa? ha funzionato. Intendiamoci: non è che poi, qualche giorno dopo, non abbia ripreso a tormentarmi col suo terrificante urlo muto, però era la prima volta che abbiamo dormito insieme, abbracciati. Ed è stato romantico, a suo modo.

4

dida: Hombre vertical

9.

Qui quasi tutti viaggiano con un conchiglione appeso allo zaino, simbolo del Cammino (il conchiglione, non lo zaino). Solo che a me ogni volta che lo vedo mi vengono in mente le capesante gratinate. E questo di sicuro non aiuta la mia ricerca spirituale.

10.
Ho notato che man mano che ci avvicinavamo a Santiago iniziano a sparire inesorabilmente le targhette con i chilometri mancanti dalle caratteristiche colonnine in pietra che costellano il Cammino.

Il motivo è molto semplice: i pellegrini se le fottono per portarsi a casa un souvenir.

Se ne deve pertanto concludere che se è vero che la via per l’inferno è lastricata di buone intenzioni è parimenti vero che quella per il paradiso lo è di pessime abitudini. Del tipo: sì intuisco che questa cosa sarebbe meglio lasciarla dove sta, a vantaggio di chi verrà dopo e per rispetto di quelli che ce l’hanno messa (che se me la porto via, prima o dopo, ce la dovranno rimettere), ma la verità è che anche in materia di spiritualità resta pur sempre vero che io sono io e voi non siete un cazzo. Amen.

5

dida: Da qui è passato il Marchese del Grillo.

11.
passato i primi 5 giorni a dire solo due parole “Buen camino”.
Uniche varianti che mi sono concesso: “hola”, “andale”’ o “ciao”, se proprio ero sovrappensiero. A volte non dici niente, che i pellegrini son tanti e non è che hai sempre tutta ‘sta voglia di essere gentile e inappuntabile. Poi passi Santiago, le strade del Signore finiscono e iniziano quelle verso la fine della terra, into the wild, e lì non so come, divento più socievole. O meglio: diventano più socievoli i viandanti (forse è semplicemente perché diventano sensibilmente meno o perché più passa il tempo più la nostra naturale socievolezza riprende il sopravvento).
Risultato: oggi ci sono tre persone in Galles, in Belgio e in Germania che sanno di me più di quanto abbia mai detto allo psicanalista che non ho.
(A proposito: ricordarsi di trovarne uno bravo al rientro).

12.

E’ successo un fatto buffo.

Mi è entrato un sassolino nella scarpa.
Ora, voi non potete capire che razza di evento nefasto sia un sassolino nella scarpa durante il Cammino. E’ una cosa potenzialmente in grado di mandare a puttane tutto l’ingranaggio. Ti devi fermare a toglierlo. E non è come dirlo, perché quando cammini prendi il ritmo e quando ti fermi, poi ripartire è un dannato casino. Devi rifare tutto da capo, devi ricominciare a parlamentare col tuo corpo che aveva già deciso che per oggi poteva bastare così. E invece no. Bisogna rimettersi intorno a un tavolo e riprendere le trattative, finché il corpo – pur trattandoti come un pazzo invasato e irragionevole – acconsente alle tue garbate insistenze e si rimette in cammino.
Ebbene, dicevamo del sassolino.
Mi fermo, tolgo dalle spalle quel fardello dello zaino, mi rilasso un attimo e penso che il sassolino è proprio un po’ la metafora dei nostri piccoli problemi quotidiani: ci distraggono, ci rallentano, ci danno fastidio e finiamo per non pensare ad altro che a loro, scordandoci dove stiamo andando e perché.
Morale: ero così preso a elaborare la mia metafora del sassolino come archetipo dei problemi della vita, che mi son scordato di toglierlo e son ripartito con il sassolino nella scarpa.
Che è un po’ il limite della filosofia. Che stai talmente a pensare al senso delle cose che alla fine corri il rischio di dimenticarti di farle, le cose.

6

dida: Signori, la filosofia.

 

13.

“Ti dicono tanto dei piedi ma il vero problema son le mani che, con lo zaino che blocca la cirocolazione, dopo qualche ora ti diventano grandi come quelle di Morandi e tozze come quelle di Hulk”.

Questa era una considerazione che mi ero annotato baldanzosamente prima di arrivare a Finisterre. Devo dire che poi l’ho aggiornata come segue: “Ti dicono tanto dei piedi e fanno bene. Perché i piedi sono davvero un cazzo di problema”.

14.
E poi c’è il dolore.
C’è la fatica.
C’è la stanchezza fisica.
Bisognerebbe che prima o poi qualcuno spiegasse per bene questa strana forma di trascendenza che è la spossatezza fisica, spinta oltre una certa soglia.
A me fa l’effetto di una canna.
E’ come se il corpo mettesse a letto la mente rimboccandogli le coperte.
E’ una specie di colpo di Stato, ma gentile.
E’ come se il corpo dicesse alla mente: dormi, che qui non servi a niente, ci penso io.

E francamente sentire il corpo che dice alla mente “ci penso io” è divertente.
Anche perché sai cosa fa il corpo quando ha messo a letto la mente?
Si fa una birra, gustandosela dal primo all’ultimo sorso.
Poi va a letto.
Spegne la luce.

E cosìssia.

7

Dida: Ecco, una cosa più o meno così.

 

15.

E infine arrivo al cospetto di Sua Vastità, l’Oceano Atlantico.
Mi torna in mente un vecchio brano dei Waterboys che diceva “Because that was the river, this is the sea”. Probabilmente fu scritto a Finisterre, al termine del Cammino. Perché davvero non c’è altro da dire, non c’è altro da capire e nemmeno è possibile spiegarlo se non l’hai capito già.
Davanti a me una c’è una donna seduta di fronte all’Oceano.
Ha gli occhi chiusi, respira tutto quel blu a pieni polmoni e si asciuga le lacrime dagli occhi.
Anch’io piango, ma per i miei poveri fottuti piedi.
Mi piace però che ci sia qualcuno che la stia vivendo come va vissuta.
Le scatto una foto.
Più tardi la rivedo, l’avvicino e le mostro la foto.
Le spiego la situazione e le chiedo se la vuole.
La donna è visibilmente commossa e dice “yes please”.
Mi ringrazia come mai nessuna donna mi ha mai ringraziato.
Mi chiede di dove sono.
Glielo dico ma le assicuro che non per questo abuserò del suo numero di telefono (che ha utilizzato per mandarsi la foto e che mi è rimasto in memoria).
E, credetemi, non l’ho fatto.

Mi credete?

8

dida: Canzone della bambina non portoghese

CONCLUSIONI
Il Cammino di Santiago è in definitiva un plastico della vita in scala 1:(boh, quante settimane ci sono mediamente nella vita di un uomo? Fate voi il calcolo, io non sono bravo in matematica).
In una settimana attraversi non solo un pezzo della Spagna, ma più precisamente una gamma completissima di stati d’animo e stagioni. Marci sotto il sole e sotto la pioggia. Nella frescura e nella canicola. Il Cammino è uno straordinario detonatore di pensieri. Non puoi dire se ti piace o se non ti piace perché sono vere entrambe le cose: lo ami e lo odi.
Non è che puoi fare più che tanto: devi camminare. Punto.
E fischietti, canti, parli da solo, guardi tutto quello che hai intorno come se non avessi altro da fare (cosa che in effetti non hai). Ascolti il rumore dei tuoi passi e del tuo respiro. Oppure fai Spotify Premium, che è veramente cosa buona giusta, nostro dovere e fonte di salvezza. E poi ti incazzi, poi ti commuovi, poi ti prende la rabbia, poi una calma olimpica, poi non pensi a niente, poi a tutto, poi sbrocchi, poi parli da solo e alla fine ti rispondi pure. Poi incontri gli altri, poi li vorresti menare, poi li ami. E così via.
Il tutto mentre cammini e cammini e cammini e poi ancora cammini, diretto verso una finis che sai bene che da lì in avanti non si potrà camminare più, neanche volendo.

Eppure ci vai, bello convinto, perché sai che è lì che devi arrivare.
Ebbene, provate a sostituire il verbo camminare con il verbo vivere e vedrete che il senso del tutto non solo regge, ma fila pure.

E quindi è questo, principalmente che mi è piaciuto di questa esperienza: che non ho imparato nulla e non ho avuto nessuna illuminazione.
Non mi sono portato a casa niente che non avessi già.
Solo la speranza di continuare a marciare, da qui in poi, con la mente e il corpo un po’ più vicini.
Non dico abbracciati, ma almeno a braccetto.

Because this is the river and we’re walking to the sea.