di Ilaria Poerio
La giovane scrittrice americana è il condensato di tutto quello che accade nei film, con la differenza che lei è assolutamente reale: c’è il palcoscenico affascinante dell’Upper East Side, il modernissimo sapore retrò dei suoi vestiti e la sconosciuta semplicità con cui si può asserire di aver lasciato il lavoro per diventare scrittrice. Ed esserci riuscita. Dopo due raccolte di saggi (ancora inediti in Italia) Sloane Crosley esordisce con Il fermaglio.
Il romanzo ammicca sin dal titolo a La Collana di Guy de Maupassant, cui rende omaggio; o, se vogliamo, da cui trae ispirazione per raccontare una storia americana, contemporanea e technicolor.
Mentre leggiamo ci sembra di vedere i protagonisti muoversi sul grande schermo, con la disinvoltura e lo charme della loro autrice, o parimenti immortalati da un paparazzo per qualche rivista patinata. Questi giovani americani, più o meno rampanti e più o meno soddisfatti, sono tutti così assolutamente brillanti anche nei loro fallimenti, da apparire lontani miglia dalla Francia di Maupassant. Ma – come l’autrice intuitivamente coglie – tanto vicini quanto solo le cose lontane sanno essere, alle volte.
La collana è la storia di Mathilde Loisel, una donna che, dall’infanzia, coltiva il sogno di una vita lussuosa. Sogno che rimarrà tale anche a causa di un matrimonio economicamente infelice. La dedizione e l’amore del marito non la compensano degli agi ardentemente desiderati. Un ricevimento, cui, con grande difficoltà, il marito è riuscito a farsi invitare nell’intento di rendere felice Mathilde, sarà occasione e punto di svolta della storia. La donna, infatti, anziché rallegrarsi della notizia, sprofonda nell’angoscia di non possedere nulla di adeguato da indossare. Una volta acquistato un abito, grazie alla rinuncia da parte dell’uomo ai suoi sudati risparmi, la donna tornerà ad angosciarsi all’idea di indossare un bell’abito senza poterlo completare con un gioiello. Grazie al suggerimento del marito, chiederà in prestito a un’amica una collana di diamanti.
E solo allora, con indosso l’abito adatto e il prezioso gioiello, ammirata dagli uomini quanto dalle donne, Mathilde si godrà il ricevimento e sembrerà essere finalmente felice.
La perdita della collana, di cui ci si accorge solo a festa finita sarà tuttavia ragione della successiva sventura della coppia. Costretta a chiedere un prestito a interesse per restituire all’amica il prezioso collier, i due si indebiteranno fino al collo e condurranno una vita di stenti, per scoprire, dieci anni dopo, che la collana perduta non era che una imitazione di scarso valore.
I giovani protagonisti del romanzo della Crosley si muovono sulle orme di Maupassant, in una caccia al tesoro tra Los Angeles, New York e Parigi alla ricerca di una collana che, laddove il successo non basta più, vuole essere una rocambolesca ricerca della felicità.
Kezia, Victor e Nathaniel si ritrovano a un matrimonio di un’ex compagna di college. Uno di quegli incontri più spiacevoli che altro, una di quelle forche caudine dei bilanci e delle comparazioni, cui per una forma di masochismo assai comune, nessuno di noi sa sottrarsi. Una di quelle feste dove si è costretti a indossare armature splendenti per provare a superare con meno graffi possibili gli sguardi impietosi di chi è cresciuto con noi, condividendo la fiammata di ambizioni e sogni arditi alimentati dall’arroganza adolescenziale.
In un universo in cui, irrimediabilmente, la felicità sembra sempre lì a un passo da noi, ma sempre troppo lontana per goderne veramente, Kezia insegue qualcuno che le metta a posto un fermaglio difettoso, Victor ricerca una collana che rappresenta quel riscatto che tutti noi, a un certo punto, sentiamo di meritare e Nathaniel si affanna dietro alla gemma che manca al suo collier e che lo fa sentire sempre un po’ fuori posto, nonostante tutto. Quella dei tre giovani, come quella di Mathilde Loisel è la corsa un po’ disperata verso quello che ci manca e, soprattutto, lo slancio per lasciarci alle spalle un’insoddisfazione che ha finito con l’assomigliarci al punto da non riuscire più a distinguere dove cominciamo noi e dove finisce lei.
Sloane Crosley è brava e ci piace. Ci piace questo suo modo di vedere il mondo come qualcosa di cui poter ridere, comunque. La sua è autofiction, dicono.
Sta di fatto che come gli scrittori più bravi la Crosley ha il potere di farci vedere in movimento tutto quello che stiamo leggendo. Ci fa ridere come le commedie americane sanno fare ed è chiaro che oltre a tutto il resto è una di quelle che se ci vai a bere una cosa al bar una sera sarà lei a tenere banco. Però leggendo Il fermaglio, proprio come ci capita nel guardare un telefilm americano, rimaniamo affascinati come da qualcosa che sappiamo essere confinato dentro il perimetro nero di uno schermo, grande o piccolo che sia. Qualcosa che è altro da noi. Qualcosa di non troppo diverso da scatenare il nostro spirito di avventura ma sufficientemente tale da non coinvolgerci fino in fondo «tanto è solo un film».
Noi che abbiamo qualche anno in più dei quasi-trentenni della Crosley, non ne condividiamo né il successo né l’insuccesso, che quest’ultimo ci appare comunque troppo luccicante e glamour per noialtri al di qua dell’Oceano.
Con piacere ricordiamo le aspirazioni che hanno animato i loro e i nostri pomeriggi universitari e arriviamo persino a comprenderne le successive incertezze, frustrazioni e gelosie, sebbene in una salsa europea, più provinciale forse, dove non sempre felicità è sinonimo di successo. E ci resta il dubbio chiudendo il libro, che nel fare l’elenco delle cose superflue e di quelle essenziali, le nostre scelte e quelle dei protagonisti possano essere facilmente invertibili.
Titolo: Il fermaglio
Autore: Sloane Crosley
Traduttore: Laura Noulian
Data di pubblicazione: 2016
ISBN 9788806228866
€ 20,00