Le due città d’agosto

Nasce una nuova città dei mercanti e del profitto mentre la città della civitas, della cittadinanza viene depressa, e marginalizzata

di Bruno Giorgini

In città a ferragosto. A Bologna. Svuotata dei suoi abitanti, quelli che vanno in vacanza. Rimangono molti pensionati soli o in coppia; molti disabili vari, sociali – i poveri –, fisici – malati più o meno cronici -; giovani precari che non riescono, salvo per un giorno o due, ad andare fuori città; le persone colpite da disgrazie varie e molti altri più o meno randagi, comprese persone che un lavoro fisso ce l’hanno ma con un salario troppo basso per contemplare vacanze degne di questo nome, spesso lavoratori nel pubblico, assistenti sociali, infermieri/e ecc.. specie se soli – o single come si usa dire.

Ma la città si svuota anche dei servizi, da quelli per la sicurezza sempre sbandierata però in molti luoghi vallo a trovare non dico un agente di PS ma neppure un vigile urbano, a quelli sociali, per non dire della guardia medica, e neppure i commerci sono aperti, salvo qua e là radi e alcuni introvabili, i commerci in genere e quelli alimentari pure.

Nella mia strada che, seppure intra moenia, sta ai margini del centro storico, vicino a una delle porte che danno sui viali di circonvallazione, anche i classici pakistani noti per restare aperti a Natale e Capodanno, da alcuni giorni hanno le serrande abbassate. Persino i pusher di strada sono migrati in riviera, lasciando in città solo quelli sgangherati, tossici che spacciano alla bell’e meglio con contorno di piccole bande di ragazzotti i quali girano con fare bullesco ma senza arte ne parte, neppur criminale, sui margini delle mura o nel quartiere universitario.
Epperò se si va verso il centro, oltre la cinta dei mille – il perimetro e le porte che delimitano l’antica città medioevale – si incontra un’altra città. Sgargiante, coi negozi di lusso aperti, il mercato intorno a Piazza Maggiore in tenuta di gala, e i turisti a caccia di tortellini – ovviamente percorsa da polizia, carabinieri, vigili urbani, soldati in servizio di ronda persin cortesi.

Il turismo pare essere la grande nuova risorsa scoperta dal Comune e dalla città per fare fronte alla crisi. A Bologna come quasi dappertutto. Ce lo raccontano in tutte le salse.

La Lettura supplemento culturale del Corsera di domenica 14 agosto dedica una pagina intera e un titolo squillante: Il turismo è il capitale, il Veneto la capitale, con tanto di grafica elaborata regione per regione, numeri e percentuali di presenze. Con una conclusione che merita di essere citata. Quando si fanno analisi (…) bisogna segmentarle per fasce, perché è dannoso parlare di medie: quel che funziona per il turismo di base non funziona per i turisti più ricchi. Quelli che portano posti di lavoro e introiti che aumentano il Pil.
A buon intenditor poche parole, specie quando il Pil, come ci ha appena comunicato l’Istat, non cresce, e i posti di lavoro nemmeno.

La città come fonte di profitto, attrattore per il turismo “di qualità”, dove qualità significa turisti con soldi da spendere, più sono e meglio è. Fonte di profitto per chi, si potrebbe chiedere.

Semplice la risposta: commercianti dl lusso, sia un lusso alimentare – a Bologna ci sono panettieri e salumieri all’incirca cari come gioiellieri, tecnologico, vestimentario e quant’altro; ristoratori, albergatori, gestori di B&B e/o di appartamenti per le vacanze; tutti i fornitori di servizi, i più vari dal divertimento ai servizi legali e finanziari, per questo mercato, compresi servizi al limite della legalità come le escort d’alto bordo, e/o apertamente illegali come le droghe forti e eccitanti, cocaina in primis.
Così la città si spacca in due come una mela. I cittadini, la stragrande maggioranza di loro, si trova deprivata della sua socialità in nome del mercato tanto della bellezza, quanto del gusto, qualità che vengono riservate e “ap/prezzate” per i visitatori dal portafoglio gonfio. Se vogliamo nasce una nuova città dei mercanti e del profitto mentre la città della civitas, della cittadinanza viene depressa, e marginalizzata. Questo fenomeno che a Bologna, come altrove, è posto in essere e incentivato da qualche tempo a questa parte, diventa particolarmente visibile proprio in questi giorni quando la cittadinanza o si allontana oppure, se rimane, si muove spaesata alla ricerca di beni essenziali e, se le capita spuntando tra i negozi degni di Ali Baba e i Quaranta Ladroni, scopre l’abisso che corre tra il suo reddito e i prezzi che campeggiano in vetrina, misurando così tutta l’enorme diseguaglianza, l’enorme frattura, che la attraversa.

D’altra parte proprio a Bologna il mercato ha cercato addirittura di appropriarsi della street art, dei meravigliosi graffiti murali dipinti da alcuni artisti per metterli in una galleria d’arte, trovando una risposta inequivocabile quando Blu ha deciso di cancellarli e strapparli dai muri piuttosto che lasciarli ai rapinatori della creatività altrui in nome del profitto.

Semmai esistesse una politica urbana e culturale, civica diciamo, di sinistra, avrebbe un ampio terreno di critica, contestazione, intervento contro questo modello delle due città, lavorando per dare alla civitas la sua pienezza di presenza nella spazio pubblico urbano, magari scacciando i mercanti dal tempio. O almeno per indurli a minore arroganza, nonchè più miti consigli e prezzi meno devastanti la convivenza