L’inquinamento da rifiuti, con infografiche disegnate a mano su temi di news e attualità
di Silvia Boccardi, illustrazioni di Martina Antoniotti, tratto da KALEDATA è un blog che raccoglie infografiche disegnate a mano su temi di news e attualità
La plastica è il componente principale dei rifiuti prodotti dall’essere umano. Di tutti i rifiuti che si trovano sulle spiagge e nell’acqua, il 95% è plastica. Come l’uomo, la plastica è presente in tutto il mondo.
La maggior parte dei rifiuti plastici si decompone molto lentamente o per nulla, soprattutto in mare dove la degradazione per effetto della luce solare (fotodegradazione) viene impedita dalla bassa temperatura dell’acqua e dallo strato di alghe che ricopre gli oggetti.
Con una densità di rifiuti pari a 100.000 pezzi per km², il Mediterraneo è uno dei mari più inquinati al mondo. A maggio 2016, un report ha calcolato che i 22 paesi che si affacciano sul Mediterraneo producono 361.000 tonnellate di rifiuti al giorno, di cui il 10% è plastica. Di questi, più del 2% finisce in mare per un totale di 731 tonnellate al giorno di plastica nelle nostre acque. Lo Stato che scarica più plastica nel mare è la Turchia, seguita, in ordine, da Spagna, Italia e Francia.
Su scala mondiale, però, è più difficile per i ricercatori riuscire a stabilire il flusso di rifiuti di terra che finiscono in acqua. Lo studio più accurato sul tema è stato pubblicato l’anno scorso su Science e stima che su un totale di quasi 300 milioni di tonnellate di rifiuti plastici prodotti ogni anno nel mondo, tra i 4,8 e 12,7 finiscono nel mare.
L’International Coastal Cleanup, iniziativa di Ocean’s Conservancy che promuove la pulizia delle spiagge volontaria a livello mondiale, ha rilevato che i rifiuti più comuni nel Mediterraneo nel 2014 erano principalmente cannucce, sacchetti e bottiglie di plastica, cotton fioc e mozziconi di sigarette.
Se non venissero prese le misure cautelari necessarie in tempo, si calcola che entro il 2025 i quantitativi di rifiuti in mare potrebbero aumentare di 2,7 volte, secondo un recente report delle Nazioni Unite. Entro il 2050 il 99% degli uccelli marini avrà ingerito almeno uno di questi rifiuti e ci sarà più plastica in mare che pesci.
Reti, boe, trappole, ami da pesca persi o abbandonati rappresentano la più grande minaccia per la fauna marina: sono in moltissimi infatti tra pesci, mammiferi e uccelli a rimanerci intrappolati. I sacchetti di plastica rappresentano un altro pericolo in quanto vengono spesso scambiati per cibo dalle tartarughe, seguiti da posate di plastica, tappi di bottiglia, palloncini e mozziconi di sigarette, che impattano principalmente sulla fauna selvatica. Si calcola che la plastica presente negli oceani uccida 1 milione di creature marine ogni anno.
A gennaio 2016, 29 capodogli sono stati trovati arenati sulle coste del Mare del Nord, una zona troppo poco profonda per questo tipo di mammiferi. Secondo un comunicato stampa del Parco Nazionale del mare di Wadden in Schleswig-Holstein, alcune balene avevano lo stomaco iper-disteso per aver ingerito oltre 100 sacchetti di plastica, 13 metri di rete da pesca, un pezzo di un’automobile di 70 cm e altri rifiuti.
Lo studio più completo sul tema degli effetti dell’inquinamento marino sulla fauna acquatica è stato realizzato pochi mesi fa da due ricercatori della Plymouth University che hanno contato fino ad oggi più di 44.000 incidenti di 693 specie di animali diversi che sono rimasti intrappolati o hanno ingerito rifiuti – nel 92% dei casi si trattava di plastica, trasparente e di difficile decomposizione.
Tra questi animali, il 17% fa parte delle specie ‘quasi a rischio estinzione’ sulla lista rossa della IUCN (International Union for Conservation of Nature), come le 215 foche monache Hawaiane, le 138 tartarughe embricate e i 38 esemplari di balena franca.
Nell’80% dei casi gli animali sono rimasti feriti o uccisi dalla plastica.
Le materie plastiche sono costituite da polimeri artificiali, ma i polimeri – lunghe molecole formate da unità ripetitive concatenate – esistono in natura da milioni di anni, per esempio la cellulosa e il caucciù. Nel 1905 il chimico Leonard Baekeland creò la bachelite, un sostituto artificiale alla gommalacca, dando il via alla ricerca di composti sempre più resistenti e versatili di plastica. Fu solo molto tempo dopo, però, che il mondo iniziò a porsi il problema di come occuparsi degli scarti.
Oggi il pericolo principale per la fauna marina sono i nurdles, il materiale grezzo per l’impacchettamento di praticamente tutto ciò che viene spedito e per la produzione di TUTTA la plastica a livello mondiale. I più piccoli, oltre alle particelle di plastica in decomposizione, sono i cosiddetti microgranuli di polietilene, che si trovano in quasi tutti i prodotti da bagno, esfolianti, schiume da barba, rossetti, dentifrici, gel… Come specifica Richard Thompson, uno dei maggiori esperti al mondo di microplastiche, ne Il mondo senza di noi di Alan Weisman, si tratta di ‘plastica destinata a finire direttamente nelle tubature, negli scarichi, nei fiumi e poi nell’oceano: pezzetti pronti per essere ingeriti direttamente dalle piccole creature marine’. Che in molti casi finiscono sulle nostre tavole.
Le microplastiche variano la loro grandezza da pochi millimetri fino a diventare invisibili a occhio nudo: sono praticamente impossibili da smaltire, troppo piccole per essere filtrate dai sistemi di depurazione, funzionano come spugne assorbendo le sostanze tossiche presenti nell’acqua e vengono scambiate per cibo dalla fauna marina.
Molti paesi si stanno muovendo per diminuirne il consumo e quindi l’offerta. A maggio 2016 è stata ufficializzata una proposta di legge promossa dall’associazione Marevivo che vorrebbe vietare in Italia la produzione di prodotti cosmetici contenenti microplastiche. Ma la dimensione del problema è enorme.
Tutta questa plastica, nurdle e microgranuli compresi, una volta in acqua viene trasportata dalle correnti e finisce in cinque giganteschi vortici creati dalle grandi correnti oceaniche. Il più grande tra loro è il Great Pacific Garbage Patch, dove gli enormi flussi trasportano e concentrano un quantità di rifiuti talmente elevata da creare un’isola di immondizia che varia dalle dimensioni del Texas a quelle degli Stati Uniti.
Il Marine Ecology Progress Series ha pubblicato una ricerca condotta nella zona, percorrendo 2.375 chilometri di oceano: secondo i dati raccolti, i pesci del Pacifico ingeriscono circa 24.000 tonnellate di plastica all’anno.
Ma se per lo smaltimento delle microplastiche non è ancora stata trovata una soluzione, per i rifiuti più grandi c’è chi ha preso l’iniziativa. Boyan Slat, un ventenne olandese, ha deciso di avviare una campagna di raccolta fondi per finanziare il suo progetto: creare delle barriere fluttuanti che catturino i rifiuti portati dalle correnti. The Ocean Cleanup si basa sul principio che la maggior parte dei rifiuti di plastica viene trasportata entro i tre metri di profondità e che basta una rete di pochi metri per raccogliere la spazzatura, lasciando libertà di movimento alla fauna marina.
In futuro, forse, sarà possibile risolvere uno dei problemi ambientali più gravi del nostro pianeta.
– se leggete questo articolo in spiaggia, ricordatevi di portare via la plastica –
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