Frammenti di Kurdistan
di Linda Dorigo
Le montagne segnano coordinate geografiche, delineano confini umani, rivendicano identità. Dal golfo di Iskanderun parte la catena del Tauro orientale fino alle vette innevate dell’Ararat.
Sempre dal Tauro, nella zona di Malatya, si inarca una mezzaluna montuosa che arriva fin sotto il lago di Van. Lì il monte Resko circonda l’altipiano armeno. Intanto la catena pontina a nord si propaga fino alla Georgia, mentre dal confine turco- iraniano a quello iracheno- iraniano la collana degli Zagros abbraccia la zona di Hamadan fino allo stretto di Hormoz.
Il Kurdistan digrada a sud verso la Mesopotamia dove le piane di Diyarbakir, di Urfa e della Jazira accolgono la nascita e il passaggio dei grandi fiumi mesopotamici: il Tigri e l’Eufrate.
Da cento anni le frontiere nate all’indomani dell’accordo Sykes-Picot tra il Regno Unito e la Francia condizionano la struttura politica, economica e sociale dei popoli della diaspora armena, assiro-caldea, curda e yazida.
Il sindaco del villaggio di Byara, Hasan Rashed, ammette: “Lavoro dalle 9 alle 14. Quello che succede prima e dopo non è affar mio”. La frontiera dà lavoro ai contrabbandieri. Alcune famiglie vivono divise, ma la frontiera è sempre aperta per matrimoni, funerali ed emergenze.
“In Iraq abbiamo un riconoscimento e possiamo parlare il curdo liberamente – precisa Shaho – purtroppo il confine pesa come il muro di Berlino”. L’imprenditore è tornato a Tawela e vorrebbe portarci più turisti. Il suo albergo è quasi pronto, ma il momento economico non è propizio.
“Mia zia è rimasta in Iran. Apparteniamo alla stessa famiglia ma abbiamo passaporti diversi – scherza – ti chiedi come sia possibile?”. Trovo la risposta a casa di Mohammad Bichokol, morto di vecchiaia un paio di giorni prima.
Originario di Tawela dove lavorava come sarto, dopo il bombardamento di Halabja si traferì con la famiglia nel villaggio iraniano di Zawar. Alcuni figli nacquero in Iran, mentre parte della famiglia rimase in Iraq. Oggi, a ricordarlo, sono arrivati tutti: la moglie e i sette figli dall’Iran con un permesso speciale, e i fratelli e i nipoti di Tawela che aprono le porte della sua vecchia casa inerpicata su pendii senza bandiera.