“… se fossi un balcanico, se fossi un balcone, il balcone balcano” cantava Elio ne “La canzone del I maggio”. Con la fine delle guerre che hanno portato alla dissoluzione della ex Jugoslavia un nuovo spazio si è creato nella cartina europea: un buco nero, sgangherato, esotico, eccentrico, sanguigno e bizzarro. Dove la gente spara in aria con il kalashnikov per dimostrare la sua ilarità e brinda fino a frantumare i bicchieri. Così sono ri-nati i Balcani come un’idea di ferinità, caos e violenza liberatrice. Tutto quello che spaventa ma allo stesso tempo attrae le società europee riversato in un’area del mondo. Poi sono arrivati Goran Bregović ed Emir Kusturica e hanno venduto un brand da esportazione, che in Europa occidentale ha trovato particolari estimatori. In questo blog offriremo alcuni frammenti culturali dallo spazio jugoslavo e post-jugoslavo che hanno poco in comune, se non quello di riuscire sconosciuti a chi in quei luoghi va a cercare i Balcani.
di Francesca Rolandi
Gli studi dello scienziato austriaco Wilhelm Reich hanno rappresentato un punto di svolta nella storia della psicanalisi, portando l’indagine sul potere liberatorio dell’orgasmo e sulla connessione tra repressione sessuale e fascismo. In fuga dal nazismo l’ebreo Reich raggiunse quello che pensava sarebbe stato il paese della libertà, gli Stati Uniti d’America.
Qui vide la luce Orgonon, il centro nel quale i suoi studi sul potere dell’energia primordiale dell’orgone si sarebbero dovuti sviluppare, sul quale si diffuse presto ogni genere di storia – che fosse sede di una società segreta ebraica, dove i pazienti venivano masturbati.
Nel clima montante di maccartismo del dopoguerra lo psicanalista in odore di comunismo fu diffidato dal diffondere le sue teorie, finì a processo per aver infranto il divieto e morì in carcere.
Dalla parabola dell’ex allievo ribelle di Freud prende il via un film del 1971 destinato a segnare la storia jugoslava, “Misterije organizma” [I misteri dell’organismo] di Dušan Makavejev, un regista serbo che già durante i suoi studi si era trovato a ragionare sul nesso tra marxismo e psicanalisi.
Alternando materiale d’archivio documentaristico a una trama narrativa, Makavejev indaga il binomio repressione sessuale e autoritarismo sullo sfondo dell’inafferrabile liberazione sessuale compe compimento della rivoluzione socialista.
Al centro la figura della giovane femminista Milena, impersonata dall’attrice Milena Dravić, che si batte affinché la questione femminile venga risolta e rigetta il suo spasimante proletario Radmilović, simbolo di una società patriarcale lontana dall’emanciparsi.
E’ rimasta famosa la scena in cui Milena, avvolta in un pastrano militare, tiene un comizio in una casa di ringhiera in cui parla di amore libero e socialismo e al quale Radmilović viene portato a processo.
Milena finirà per innamorarsi di un marmoreo pattinatore sovietico, Vladimir Ilić, emblema della logica collettivistica, convinto che l’individuo dovesse sciogliersi nella massa e il talento messo al servizio del popolo.
“Noi apprezziamo il vostro tentativo di trovare una vostra strada al socialismo, siete un paese indipendente e orgoglioso” dice Vladimir a Milena, facendo riferimento alla particolare via jugoslava al socialismo dopo il 1948. “Ma siamo convinti che attraverso l’esperienza vi convincerete che la nostra strada è migliore”.
L’incontro tra i due amanti simboleggia quello tra due accezioni del socialismo, una autoritaria e una libertaria, ma sarà quest’ultima a risultare perdente.
Vladimir Ilić ucciderà Milena dopo un rapporto sessuale e la decapiterà. “Un vero fascista rosso”, lo definirà in chiusura del film la testa parlante della defunta protagonista.
La vicenda centrale è intervallata a scene tratte dal mondo dell’arte contemporanea statunitense, che riflette su un ampio spettro di temi, dalla propaganda maccartista al potere dell’orgasmo e sul binomio tra violenza, sesso e repressione, con la partecipazione di personaggi dalla popolarità underground come la star transgender Jackie Curtis, proveniente dal circuito di Andy Warhol.
Il nesso tra repressione sessuale e militarismo si fa largo attraverso le scene di massa provenienti dalla dittature cinese e sovietica, alternate a scene del nazismo, un montaggio che verrà in seguito usato da altri registi e che insinua alcune domande mai esplicite. Cosa ha portato il militarismo partigiano nella mente dell’uomo jugoslavo? E’ possibile accostare i due opposti totalitarismi?
Quello che oggi è narrazione comune rappresentava balsfemia e provocazione da parte di un cineasta inebriato dalle spinte libertarie del post-1968. “I misteri dell’organismo” viene presentato a Cannes, ma il film viene censurato in patria, il regista marginalizzato e il direttore della coraggiosa casa di produzione Neoplanta film licenziato.
Gli spazi che si erano aperti negli anni precedenti nella scena culturale jugoslava sembrano chiudersi addosso agli artisti che hanno provato ad osare.
Di fronte a un trionfo internazionale nei festival e all’opposizione interna, il regista sceglie la strada dell’esilio e rimarrà per molti anni attivo all’estero.
Oltre ai meriti artistici al regista va quello di avere affondato il dito nel ventre molle della società jugoslava, quel legame perverso tra autoritarismo e società patriarcale, i cui frutti avvelenati sarebbero emersi in tutta la loro drammaticità durante la guerra degli anni ’90.