di Alice Bellini
12 spunti di riflessione, consigli di approfondimento di vita pescati a sorte da un cappello. Per coloro che credono negli astri, non sarà di certo un caso che un determinato messaggio sia uscito per un determinato segno. Per chi invece le stelle le riconosce solo come lucine nel cielo, comunque una piccola riflessione non fa mai male, per alleggerire un po’ l’anima, ma senza volare via.
Da qualche parte su internet ho letto una frase che recitava più o meno così: “noi dei Paesi sviluppati siamo gli unici che lavorano duro per poi poter andare ad essere pigri da qualche altra parte”. Come dire, non fa una piega. Quale senso ha lavorare per potersi concedere una vacanza? Dove giace la logica dell’alzare i livelli di stress in maniera inaccettabile, per potersi permettere di abbassarli poi un paio di volte l’anno? Il famoso ciclo di Fight Club, che prevede il lavorare per comprare cose per lavorare per comprare cose che poi ci richiedono di lavorare. Lavorare per poter vivere per lavorare. Annientarsi per poter rinascere per annientarsi. Condurre uno stile di vita per lamentarsene. Lamentarsene senza fare assolutamente nulla per cambiarlo. Cullarsi nella dolce illusione che non dipenda da noi. Per continuare a lamentarsene. E continuare a condurlo. E insomma, ci siamo capiti.
“Voir loin, parler franc, agir ferme”, affermava Pierre de Coubertin, fondatore delle Olimpiadi moderne. Lungimiranza, onestà, coerenza. Perché quando le luci si spengono sui Giochi, la vera olimpiade è condurre la vita secondo questi principi. Riuscire a guardare lontano, oltre molti ostacoli, impedimenti o pregiudizi. Riuscire ad essere onesti, prima di tutto con se stessi così da poterlo garantire anche al prossimo. Agire con coerenza, senza eccezioni alle regole e imbrogli umani. Allenatevi bene dunque, cari Toro. Ora più che mai siete chiamati al vostro atletico dovere di essere umani. O meglio, di restarci. Sarà la vittoria più grande, ma anche la partecipazione più importante.
C’è un arrampicatore di nome Alex Honnold che è famoso per il suo honnolding, scalare centinaia di metri di alcune tra le pareti più famose e impegnative del mondo senza corda. Senza protezione alcuna, se è per questo. “Ma quindi se casca muore?”: sicuramente. “Allora è completamente fuori di testa”. O forse è molto più sano di tanti altri. Nell’ascoltare alcune sue interviste, si percepisce la sua completa consapevolezza di ciò che fa e del rischio che corre: ben piantato a terra, non sottovaluta il pericolo ultimo che lo accompagna. Ma non sottovaluta nemmeno il prezzo di vivere una vita senza fare ciò si ama di più. “Ad un certo punto, ognuno di noi finisce il tempo a sua disposizione. Il punto è cosa fai con quello che hai”, afferma in maniera assolutamente ponderata. E non credo ci sia molto da contestare, ma solo da trovare il coraggio di fare una scelta, che poi altro non è che la scelta di vivere in modo autentico, che sia scalando senza protezioni, o portando il cane al parco, non importa. Purché ci sia la certezza assoluta che ciò che stiamo facendo è esattamente ciò che volevamo fare e non un edulcorato di vita che tiene lontani i rischi, ma anche la pienezza di un’esistenza vissuta al massimo.
“La giusta attitudine rispetto a ciò che abbiamo è la gratitudine, non il possesso”, afferma B.K.S. Iyengar. Per il fatto secondo il quale non si possiede mai veramente nulla e per la regola che tutto muta e ogni cosa arriva per poi andarsene, apprezzare ciò che si ha, invece che cercare di tenerlo prigioniero delle nostre volontà, rappresenta quell’equilibrio che genera coesistenza pacifica e quel senso di appartenenza per cui le cose restano, senza il bisogno di possederle, e per cui ci sentiamo anche noi di appartenere a loro. Un modo per imparare ad essere grati è accettare ciò che abbiamo per come è, che sia una persona, un oggetto o una possibilità. E a quel punto decidere se la vogliamo o meno nella nostra vita, esattamente così com’è. Solo allora ci accorgiamo della fortuna di poterla avere, a partire da noi stessi.
Qualche giorno fa mi sono imbattuta in Plastic Paradise, un documentario che parlava con veramente pochi peli sulla lingua dell’Isola dei Rifiuti, The Great Garbage Patch, ammasso di immondizia galleggiante delle dimensioni dello stato del Texas che si trova nel bel mezzo dell’Oceano Pacifico. Trasportato lì dalle correnti marine e “bloccato” dall’Arcipelago della Hawaii, è formato per la più parte di plastica. Faticando per un momento a lasciare da parte lo sconcerto per le cause e le conseguenze di tale ammasso, ciò che mi ha colpito moltissimo è che io, che mi reputo una persona mediamente abbastanza attenta all’ambiente e alla sua salvaguardia, tutte quelle cause e conseguenze già le conoscevo perfettamente. Forse da qualche parte nell’archivio delle mie nozioni, sapevo anche dell’esistenza di quell’Isola. Eppure, ho sempre continuato per anni a consumare oggetti di plastica monouso.
Parlandone poi in giro, la più parte delle persone mi ha risposto che comunque è impossibile fare effettivamente qualcosa, trattandosi di un problema troppo più grande di ognuno di noi, e che quindi tanto vale continuare la propria vita secondo lo stesso tenore. Insomma, laviamocene le mani, perché il cambiamento prevede un impegno che la nostra voglia non contempla.
Il consumo della plastica monouso è solo uno dei tanti piccoli enormi aspetti della vita di ciascuno che ci proponiamo continuamente di cambiare senza poi mai farlo veramente, nonostante l’impatto sia devastante, su noi stessi come su tutto il resto del pianeta. Non sarà forse giunta l’ora?
“La libertà è una scelta, ogni giorno. Si sceglie cosa significa libertà per noi stessi, e si sceglie di perseguirla o meno”, afferma Steph Davis, icona di diversi sport estremi, emblema di una donna che ha avuto il coraggio prima di tutto di definire cosa fosse per lei la libertà e poi di perseguirla. Non esiste un unico modo di vedere questo termine o di interpretarlo: libertà può voler dire tante, diversissime cose, spesso opposte tra loro. Ma c’è un unico modo per sceglierla. O si decide di definirla, lasciando andare tutto il resto, o si decide che tutto il resto definisca noi. E spesso tutto quel resto sono le paure di fare una scelta sbagliata e di non farcela a sostenere una vita diversa da quella che lo stereotipo sociale ci ha insegnato e in vista della quale ci ha cresciuto. Coraggio, dal latino cor habeo, non significa avventarsi, ma avere cuore. Quando si dice “segui il tuo cuore” non significa smettere di ragionare e farsi inglobare dall’emotività e basta, ma significa vivere la vita con coraggio, vivere la vita secondo quello che si ha nel proprio cuore. Abbiate coraggio Vergini, date le vostre definizioni, seguitele.
Tra una madeleine e l’altra, Proust affermava che “il reale viaggio verso nuove scoperte consiste non nel cercare nuovi orizzonti, ma nell’avere nuovi occhi”. Così a volte mi viene la netta sensazione che molte soluzioni a problemi e problematiche di vario genere giacciono spesso proprio sotto i nostri occhi, se solo decidessimo di cambiare il loro punto di vista. Un conflitto può sempre essere evitato, ogni singola volta. Non vi è mai nulla che impone uno scontro, se non il personale punto di vista, che si parli di guerre internazionali o di dilemmi interni a noi stessi. C’è sempre un punto di vista differente al quale ci possiamo appellare. Per quanto difficile possa essere scostarsi dal proprio e abbracciarne uno nuovo, per quanto il cambiamento passi sempre attraverso una crisi, dà conforto sapere che una soluzione c’è, se solo si decide di guardarla, o di guardarvi attraverso.
“Il male non è soltanto di chi lo fa: è anche di chi, potendo impedire che lo si faccia, non lo impedisce”, affermava Tucidide intorno agli anni ’20 del 400 a.C. Nell’assoluta attualità di queste parole, mi domando se sia ancora il caso di parlare di indifferenza ed omertà, o se si è ormai entrati nell’era di una più basilare ignoranza e insensibilità. Ignoranza rispetto agli accadimenti del mondo, causata da una pessima e limitata informazione, che soppianta di netto la notizia con il gossip e che quotidianamente ingozza il destinatario con immagini di crudele violenza e morte, fino a renderlo completamente insensibile, così che nulla possa più muovere la sua indignazione o il suo interesse. Non ci si può indignare per qualcosa che non esiste, o per un fatto che appare normale come il sole che sorge al mattino. Invertire il processo è impossibile e forse anche anacronistico, ma ci si può assicurare che progredisca in una direzione ben precisa, di netto e definitivo cambiamento. Chi può farlo? Ogni singolo che genera la massa, ogni singolo che genera l’opinione comune, ogni singolo che genera l’andamento di una nazione attraverso la sua partecipazione e il suo voto. Ogni singolo Scorpione che fa lo zodiaco.
C’è una bella frase di Ralph Waldo Emerson che dice “la Terra ride con i fiori”. Ma nella nostra grande fede in qualcosa di divino e superiore, dimentichiamo la capacità di adorare quanto di più esistente, vivo e miracoloso ci circonda. I fiori sono solo una delle infinite espressioni di vita attraverso le quali il nostro Pianeta si esprime. Pensare di poterne fare ciò che vogliamo a nostro piacimento, come se fosse solo un ammasso di risorse alla nostra mercé, è assurdo. Basta guardarsi intorno, che sia la piantina di basilico che abbiamo in cucina, il raggio di sole che ci fa strizzare gli occhi quando guidiamo o il grande spettacolo dell’Aurora Boreale. Ognuna è un’espressione di un mantra di cui noi facciamo solo parte e che viene recitato di continuo, a prescindere dalla nostra capacità di accettare che la Terra non è al nostro esclusivo servizio. Imparare ad ascoltarne le risate può essere di certo un inizio, per instaurare un dialogo più vasto e sano, sicuramente più naturale.
Non penso ci sia bisogno di fare un elenco dei tanti e disastrosi fatti che sono accaduti anche solo nelle ultime settimane e che hanno causato centinaia di migliaia vittime in tutto il mondo. “Why waking up stressing when waking up is a blessing?”, perché svegliarsi pervasi dallo stress quando svegliarsi è una benedizione? recita una domandina anonimamente trovata sul web. Il lavoro, gli impegni, l’agenda, le responsabilità, le delusioni: che ci piaccia o meno, che troviamo il coraggio di accettarlo o meno, sono tutte frutto delle scelte che abbiamo fatto per noi stessi, a partire, talvolta, dalla semplice incapacità di essere grati. I problemi che puntellano le nostre vite sono reali, come anche gli ostacoli che ci troviamo di fronte. Se sono il motivo per cui questa famosa gratitudine proprio non riesce ad arrivare, forse una soluzione potrebbe essere quella di cominciare a prendersi la responsabilità per l’esistenza di quei problemi e di quegli ostacoli, perché solo così apparirà chiaro che anche la soluzione è nelle nostre mani. Nel mentre, un esercizio di gratitudine non fa mai male. Se volete, potete cercare alleati tra Vergini e Arieti: a quanto pare siete legati da un messaggio stellare abbastanza simile di questi tempi.
A Luglio la direttrice del Guardian Katharine Viner ha pubblicato un impeccabile editoriale ragionando su quanto la verità abbia effettivamente ancora valore all’epoca dei social network e del giornalismo sensazionale. La quantità di “fatti” mai realmente accaduti, che sussistono solo grazie a presunzioni e mai ad evidenze effettive, è ormai più di quella dei fatti veri e propri. E la distinzione su cosa sia vero e cosa non lo è risulta assolutamente inesistente. Basta che un fatto sembri vero e venga sostenuto dai più per diventare automaticamente tale. E non sembra esserci nessuna esigenza da parte del “consumatore”, che ingurgita gossip e notizie come fossero caramelle, di un parametro per cui solo ciò che può essere provato da prove trasparenti e specifiche arrivi ai suoi occhi e alle sue orecchie. Quei fatti-non-fatti, sempre più assurdi e sensazionali, appagano il bisogno dei più di dare una scossa alla propria vita statica e incatenata in scelte non proprie. Appagano il costante e inesorabile bisogno di novità, che si rispecchia in notizie usa e getta. Datemi un’opportunità di esprimere una qualche invettiva su facebook, e io vi crederò! E così, anche le conseguenze delle nostre azioni appaiono meno reali. Tutto appare meno importante di ciò che è. Tutto può, alla fin fine, non essere preso sul serio. Gli spunti di riflessione in merito possono essere davvero tanti, a partire da un onesto esame di coscienza personale. Come consumatori, abbiamo la responsabilità di leggere l’etichetta e stare attenti agli ingredienti, o trangugeremo qualsiasi cosa scritta sul pacchetto.
Ho da poco traslocato per la quinta volta in vita mia. E nonostante mi sia ripromessa ogni volta che avrei imparato a fare a meno delle cose inutili, anche questa volta la quantità di cose superflue, a buon bisogno anche mai utilizzate, di cui mi circondo è davvero sorprendente. Come anche è sorprendente che ogni volta non mi renda conto di essermene circondata nel corso del tempo, pervasa invece da un senso di reale necessità che mi faceva essere certa di averne bisogno. Ma non solo. Trasloco dopo trasloco, sono stati tanti gli oggetti e i vestiti che mi sono lasciata alle spalle per necessità logistiche. Convinta in un primo momento della loro importanza e che non avrei saputo come fare senza, ogni volta mi si confermava invece la loro assoluta inutilità e l’altrettanto inconfondibile facilità con cui riuscivo a farne a meno.
Una casupola di legno in mezzo ad un immenso bosco di abeti, un fiume a scorrerle di fronte, le montagne all’orizzonte alle sue spalle e poi la vastità del cielo. E sopra questa sua bella foto, Chris Burkard si domanda per l’ennesima volta se davvero ritornare ad una vita più semplice sia un passo indietro, o se non sia invece motivo di progresso. Domanda trita e ritrita di questi tempi, certo, e immagino che come sempre la risposta sia nel valore che si conferisce all’idea di progresso, ma diciamo che il mio armadio straripante e le mie mensole appesantite qualche risposta me la suggeriscono, inclusa la riflessione che forse così ritrita come domanda non è.