Il film Dégradé dei gemelli Abunasser racconta la vita a Gaza attraverso gli occhi di dodici donne costrette in un minuscolo salone di bellezza durante uno scontro armato tra Hamas e una banda di delinquenti
Di Clara Capelli
Cosa fanno gli abitanti di Gaza quando non ci sono attacchi israeliani in corso e le telecamere di tutto il mondo non li guardano? Che faccia hanno? E le donne, sono forse tutte dei fagotti repressi nei loro veli?
Il film Dégradé, primo lungometraggio dei gemelli Abunasser, prova a sfidare il disinteresse e i piatti stereotipi sulla vita della popolazione di Gaza per mostrarla attraverso le storie raccontate a mezza bocca da dodici donne raccolte in un piccolo salone di bellezza.
Fuori, Israele è solo il ronzare dei droni che si aggirano nel cielo. Fuori, prima ancora della frontiera con gli israeliani ci sono le tensioni tra bande di delinquentelli arroganti e prevaricatori e Hamas, l’organizzazione della moqawama – la resistenza – per alcuni, l’oppressore corrotto tanto quanto Fatah per altri.
A scatenare lo scontro è il furto di un leone dello zoo di Gaza da parte del giovane criminale Ahmed, che si aggira spavaldo per il quartiere con la bestia al guinzaglio. Il suo obiettivo è intimidire da vero macho la fidanzata, impiegata del salone di bellezza, la quale, stufa di problemi e bugie, lo vuole lasciare, seppure tra fiumi di lacrime. Gli uomini di Hamas, così simili nell’atteggiamento e nell’abbigliamento al ragazzo e ai suoi compagni, vogliono riprendersi il leone, per mantenere l’ordine pubblico, ma soprattutto per ribadire una volta di più chi comanda.
Le clienti, la russa Christina – proprietaria del salone, venuta a Gaza dodici anni prima per seguire il marito, conosciuto durante gli studi universitari e ora disoccupato e taxista improvvisato – e la fidanzata di Ahmed si troveranno bloccate in una stanza soffocante, al buio e in balia dell’afa, ognuna nervosa per la propria vita ancora una volta finita in sospeso: una signora ormai in età matura – interpretata dalla celebre Hiam Abbass, nota al grande pubblico per Munich, Paradise Now, Il Giardino dei Limoni – in ritardo per un appuntamento galante; la moglie che deve tornare a casa perché il marito ha fame e non trova le sigarette; la ragazza terrorizzata in preda alle doglie; la giovane che deve andare a sposarsi, vessata da una suocera gelosa e preoccupata per la madre malata che non può andare a Gerusalemme a curarsi.
L’idea di narrare le dinamiche di una società dalla prospettiva squisitamente femminile di un salone di bellezza non è certamente nuova per il cinema della regione.
L’associazione immediata è ovviamente Caramel, film libanese del 2007. Tuttavia, il salone della gazawiyya d’adozione Christina non ha il glamour di un beauty center beirutino. Modesto e arrangiato com’è, diventa subito una metafora della Striscia di Gaza: lo spazio chiuso, sovraffollato e senza servizi in cui scivolare nelle crisi isteriche, nell’apatia o nell’uso di stupefacenti è il decorso quasi inevitabile per una popolazione prigioniera dell’occupazione così come delle lotte intestine tra gruppi locali. E la religione non è che uno strumento per esercitare controllo e potere per interessi particolari.
Il titolo Dégradé, una produzione franco-qatarina, è stato scelto per il gioco di parole tra il taglio di capelli scalato – dégradé appunto -, che dovrebbe dare più leggerezza al volto, e l’evidente richiamo a una decadenza profonda. A spiegarlo sono stati gli stessi Arab e Tarzan Abunasser durante un’intervista in occasione del Festival del Cinema di Cannes 2015, dove le pellicola è stata presentata (il film ha anche aperto il Middle East Now di Firenze il 5 aprile 2016).
Barbe irsute e occhi bistrati di kajal, i due eccentrici gemelli – i cui veri nomi sono gli assai più comuni Mohammed e Ahmed – sono originari della Striscia di Gaza, figli di un pittore e cresciuti coltivando con mezzi di fortuna la loro fortissima passione per il cinema, senza aver mai messo piede in una sala cinematografica. Il film è stato infatti girato in Giordania, dove i due fratelli ora risiedono e hanno fondato un collettivo, Made in Palestine, per offrire attraverso l’arte una visione alternativa alla narrazione mainstream sulla Palestina.
Benché spesso in modo didascalico e con un finale troppo precipitoso, Dégradé ha il merito di mostrare la diversità di Gaza – una diversità repressa perché costretta in uno spazio troppo limitato e oppressivo -, oltre che il coraggio di andare al di là delle macroletture geopolitiche per raccontare che il problema nella Striscia non è uno scontro di civiltà – la civiltà già c’è, con buona pace di tanti sedicenti analisti progressisti – bensì il non riuscire più a capire che non ci sono poteri buoni. Specialmente quando si costringono 2 milioni di persone in una cella senza nemmeno un’ora di libertà.