Una matita per tutti

In Libano i bambini siriani ritornano tra i banchi di scuola

di Sara Manisera da Ain Kfarzabad, Libano

A Ain Kfarzabad è un giorno di festa. I bambini hanno ricevuto matite, pennarelli quaderni e la scuola è finalmente pronta. Le stanzette sono state pitturate di bianco e fucsia, i banchi ristrutturati sono disposti in fila ordinata e le finestre, lacerate dal fragore dei bombardamenti oltre la montagna, sono ora riparate e integre.

Ain Kfarzabad è un villaggio situato nella valle della Beqaa, una fertile vallata nella zona orientale del Libano. Protetta dalle montagne color ocra, che segnano un confine naturale tra la Siria e il Libano, tra la guerra e la pace, la valle è divenuta nel corso degli ultimi sei anni rifugio per quasi 360.000 siriani, secondo le stime dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr). A pochi chilometri, la guerra non cessa e i siriani continuano a scappare, cercando di entrare nel paese dei cedri che dal 2015 ha chiuso le frontiere e ha chiesto a Unhcr di smettere di registrare i nuovi arrivati.

Il Libano – grande come il Veneto – è il paese che ospita al mondo più rifugiati in rapporto alla sua popolazione con circa 1,2 milioni registrati ufficialmente da Unhcr. I profughi, in fuga dalla guerra, vivono all’interno di campi e in baracche semi permanenti lungo il ciglio delle strade; i più fortunati in garage o in appartamenti.

“Facciamo fatica a pagare l’affitto di due stanze, figurati i materiali per la scuola”, lamenta Amina, una donna siriana in fuga da Idlib. Dello stesso parere anche Ghadir, giovane vedova con tre figli di sette, nove e dodici anni: “I miei figli possono frequentare la scuola perché i miei genitori mi danno una mano, altrimenti sarebbe impossibile”.

Benché il Libano abbia concesso ai bambini siriani la possibilità di iscriversi nelle scuole pubbliche, più della metà dei quasi 500.000 bambini in età scolastica, registrati in Libano, non frequentano la scuola. Secondo un recente rapporto di Human Rights Watch numerosi sono gli ostacoli che impediscono ai bambini di sedere tra i banchi: la difficoltà di raggiungere la scuola a causa dell’assenza di trasporti pubblici; politiche restrittive che impediscono ai siriani di muoversi liberamente all’interno del paese e le condizioni economiche vulnerabili che obbligano molti genitori a mandare i propri figli a lavorare.

Per questo, la Cooperazione Italiana ha finanziato un progetto per sostenere l’accesso alla scuola per i bambini e i ragazzi in età scolare vittime del conflitto siriano. Attraverso l’Istituto per la Cooperazione Universitaria, ong italiana che ha implementato il progetto, i bambini hanno ricevuto materiale scolastico e libri. Non solo. Hanno trovato una scuola dignitosa e ristrutturata e i genitori hanno ricevuto un assegno per finanziare il trasporto pubblico dei bambini per l’anno che sta per iniziare. Più di duecento bambini potranno ritornare tra i banchi di scuola grazie agli assegni ricevuti per pagare il trasporto e quasi il doppio avrà a disposizione penne, matite, colori e quaderni.

Iman è una delle mamme siriane che ha ricevuto un aiuto economico. Anche lei è di Idlib ma vive in Libano da quattro anni, insieme al marito e ai suoi figli. “Avrei voluto mandare i miei figli in una scuola privata perché le scuole pubbliche in Libano sono di bassa qualità”, spiega la giovane donna, “ma non possiamo permettercelo”.

In Libano l’accesso all’educazione di qualità è un privilegio elitario; chi può permetterselo manda i propri figli in scuole private con rette molto alte. Il sistema scolastico pubblico esiste ma è fragile, scadente e quasi del tutto privo di investimenti da parte dello Stato.

La maggior parte degli insegnanti sceglie di lavorare nelle scuole private poiché gli stipendi sono più alti. In più, con l’arrivo dei rifugiati siriani, le scuole sono al collasso. Le classi sono sovraffollate, gli insegnanti scarseggiano e le risorse non sono sufficienti per far fronte ai bisogni e ai servizi di tutti i bambini. La conseguenza è che nelle scuole pubbliche ci sono i bambini più vulnerabili economicamente e socialmente. Questo è il dramma di un paese che sceglie di privatizzare la scuola pubblica: escludere le fasce più deboli e impedire ai meno abbienti, anche se meritevoli, l’accesso ai più alti gradi dell’istruzione.

“Con questi soldi almeno sarà più facile mandarli a scuola”, prosegue Amina. “Vorrei solo che i miei figli possano continuare a studiare, sia i maschi, sia le femmine”, ribadisce la donna.
I suoi occhi s’incupiscono quando si domanda cosa si aspetta dal futuro. “Non sono capace di immaginarmelo ma vorrei solo un po’ di pace per me e i miei figli”.

Dall’inizio della guerra in Siria sono passati quasi sei anni: sono migliaia gli adolescenti siriani che sono stati costretti a interrompere gli studi a causa della guerra ma altrettanti sono i bambini, figli di siriani, nati nel territorio libanese, ai quali è impossibile accedere all’istruzione. Escludere una generazione intera dalla possibilità di studiare significa, di fatto, abbandonare quella futura generazione e mai come ora, una comunità ferita dalla guerra, ha bisogno di scuole e libri.