Via Padova è il Bronx di Milano o Via Padova è una delle vie di Nolo, quartiere di Hipster, gentrification e rinascita artistica alternativa?
di Ilaria Brusadelli, tratto dal blog ViaPadovHub
foto di copertina @Silvia Azzari
Dopo i coltelli e gli spari del 12 novembre scorso che hanno riportato al centro del dibattito mediatico e politico Via Padova, la via più multietnica di Milano, sembra essere questa la domanda a cui i cittadini del mio quartiere sono chiamati a rispondere.
Quel sabato pomeriggio non sono passata da Piazzale Loreto.
Ero a casa, la mia casa che affaccia su via Padova, la bocciofila, la ferrovia. Se mi siedo sul divano, però, riesco a vedere solo la chioma dell’albero della bocciofila. Non è proprio la stessa vista del bosco che circondava la mia casa precedente, ma quell’albero lo considero una concessione che mi spetta in quanto brianzola trapiantata a Milano.
Sabato 12 novembre alle 19.00, mentre all’inizio di via Padova era in corso la rissa finita con la morte di Antonio Rafael Raminez, io ero a casa, con la caposcala del mio condominio a preparare un cartello da appendere all’ingresso: “C’è stato un furto questa notte al quinto piano, chiediamo a tutti i condomini di tenere il portone chiuso e di non aprire agli sconosciuti”.
Poi ci ha chiamato “la professoressa del settimo” e, mentre saliamo le scale, racconto alla mia vicina che l’ennesimo sedicente tecnico ha suonato al mio campanello per propormi un vantaggioso risparmio sulle bollette del gas. Il mio fornitore di servizio gas ha però confermato che nessun loro incaricato girovaga di casa in casa il sabato verso l’ora di pranzo. I carabinieri mi hanno suggerito di… fare un cartello. Al settimo piano abbiamo scattato alcune foto alla botola che porta al tetto – visibilmente manomessa – da mandare all’amministratore.
Non credo che il cartello funzionerà: il nostro condominio è pieno di cartelli. Quest’estate abbiamo stampato i cartelli della raccolta differenziata in italiano, cinese e arabo. Eppure la gestione dei rifiuti rimane estremamente creativa, e il nostro condominio colleziona multe per il mancato rispetto delle regole.
Se volessi raccontare tutto ciò che di spiacevole ho vissuto in via Padova in un anno, forse citerei quella volta che sulla linea 56 un uomo si è “insistentemente appoggiato” a me. Oppure quella notte in cui mi sono svegliata per le urla di una donna che, sotto il mio balcone, picchiava un uomo ubriaco e lo spingeva in mezzo alla strada. Oppure, ancora, l’auto scassinata sotto al condominio il giorno che sono venuta a controllare i lavori di ristrutturazione di quella che oggi è la mia casa.
Ma non mi sento di dire che tutto ciò, dal furto all’uomo inopportuno sul bus, sia il tratto distintivo del mio quartiere. Ognuna di queste esperienze mi è capitata in altri angoli della città o del mondo.
Ciò che invece mi è capitato solo in via Padova è avere quattro fratellini cinesi come “vicini di balcone”, con cui chiacchiero quando annaffio i peperoncini sul davanzale. È tornare la sera e parcheggiare di fronte a uno dei negozi di dischi più importanti della città. È andare al corso di yoga nato da una social street. È partecipare a un incontro con Roberto Piumini per bookcity Milano o incontrare a un reading dedicato a Dino Campana il biografo del poeta, che ha scelto di abitare da poco in via Padova.
È entrare una palestra di pugilato che organizza serate di musica classica. È andare nel pieno della design week al parco e trovare i festeggiamenti del capodanno bengalese e poi passare dal fuori salume, invece che al fuori salone.
È affacciarsi su via Pontano, dove a giugno writers da tutto il mondo si sono dati appuntamento per un contest internazionale, è avere un orto condiviso a pochi passi e un cinema d’essai a poche pedalate.
È una quartiere dove un ristorante friulano, una gnoccheria, ristoranti cinesi, un fastfood peruviano, una torrefazione storica, una pizzeria napoleatana si affacciano su una stessa strada.
In questi giorni ho letto articoli, commenti, reportage, interviste. La maggior parte partivano da due presupposti opposti: Via Padova è il Bronx di Milano o Via Padova è una delle vie di Nolo, quartiere di Hipster, gentrification e rinascita artistica alternativa.
Partendo da uno di questi presupposti è facile, poi, venire nel quartiere e trovare storie che avvalorano una o l’altra tesi.
Abito in via Padova da poco più di un anno e non ho l’arroganza di pensare di conoscerla già così bene da averla compresa.
Ho però la percezione che chi questo quartiere lo vive quotidianamente riuscendo a non farsi contagiare da una paura costante e generalizzata veda via Padova per quello che è: un quartiere complesso, cioè che presenta difficoltà per la comprensione dovute a una molteplicità di elementi, storie, situazioni, persone. E, questi cittadini proteggono ciò che è bello e intervengono per risolvere le criticità, organizzati in associazioni, comitati, realtà culturali e artistiche.
Come i volontari di Villa Pallavicini, che organizzano corsi gratuiti di italiano per stranieri. Come gli Amici del Parco Trotter che vivono la multiculturalità ogni giorno. Ma anche come i ragazzi della social street Nolo che un sabato mattina organizzano una colazione di quartiere che prevede la pulizia dei giardinetti di via Mosso.
O come la comunità musulmana che partecipa alla colletta alimentare. Come Federico Riccardo Chendi e Stefano Costa che organizzano mercoledì 30 novembre la seconda riunione di quartiere “Rigenerare Via Padova fino in fondo” (Ligera, via Padova 133 – ore 21.00) per chiedere a singoli cittadini, associazioni, commercianti e a chiunque abbia a cuore il proprio territorio, di mettere in comune tutte le esperienze positive che esistono e che spesso non sono in contatto fra loro. Forse dovrebbe essere questo via Padova: sempre più un luogo in comune, sempre meno luogo comune.