di Tano Siracusa
Il randagismo è un fenomeno interessante, che racconta molto di una città, dei suoi abitanti, della loro cultura, della loro forma di civiltà. Nelle città cilene si vedono branchi di cani attraversare le strisce pedonali in fila indiana, venire abbracciati e coccolati per strada dai passanti, entrare e uscire dai panifici dove fanno una pisciatina, acciambellati sui marciapiedi, sdraiati sulle panchine, alla testa dei cortei di protesta. I cani cileni prediligono i centri storici e spariscono dai moderni e diffusi ipermercati dove la modernità celebra i suoi fasti. Il loro randagismo segna la linea di confine fra ciò che rimane dei centri storici di quel magnifico paese e e i contesti di una modernità sterilizzata e standardizzata, che ha accerchiato e spesso travolto i vecchi centri urbani. La Santiago di oggi è irriconoscibile nelle fotografie di cento anni fa, dove barocco e liberty si alternavano fra grandi piazze e viali.
I cani randagi presidiano il palazzo della Moneda, ma si tengono alla larga dalle vie dei negozi firmati, dai grattacieli.
A Torino il randagismo non è quello dei cani e neppure dei gatti. I cani sono tutti al guinzaglio oppure in braccio ai rispettivi padroni, spesso di piccola taglia e vestiti. I gatti vivono appartate vite domestiche e nulla sanno della città.
Nella nobile capitale sabauda, fra le piazze e le gallerie del centro, dove la grigia Torino delle periferie è lontana come i brutti sogni quando è festa, sotto lo sfavillare delle vetrine e degli alberi natalizi, musiche appropriate e ovattato frusciare della folla, gli unici randagi in giro sono umani. A volte dormono sotto le coperte anche di giorno, alcuni elemosinano, molti se ne stanno sdraiati, seduti, coricati, con un piattino e quattro parole scritte.
Alcuni sono vecchi, gambe bendate, stampelle. Stranieri, italiani, difficile distinguerli, se ne vedono a decine, potrebbero essere centinaia, migliaia di senza tetto.
Il randagismo racconta. Nella città dei Savoia e della Fiat, la città della buona amministrazione di Fassino prima e della Appendino ora, i ‘vinti’, quelli che hanno perso tutto, un tetto e la voce, una compagnia (che non sia quella di un cane), trovano ospitalità sotto i portici e nelle gallerie. Sul confine fra cinismo e pietà. Non li cacciano come fanno nei paesi dove il nuovo politicamente corretto è al governo, come farebbe Salvini (e Grillo?); li fanno stare lì, nei salotti delle città, accucciati. Come i cani, appunto. Che nessuno si sogna di abbracciare e coccolare, svenevolezze destinate ai simpatici randagi di Valparaiso e ai cani-gatto con il vestitino firmato.
A Ulan Bator, capitale della Mongolia, d’inverno la temperatura scende sotto i venti gradi, e quelli che non hanno una casa, i randagi, si rifugiano nelle scale dei condomini-alveari costruiti dai sovietici. A Torino i portoni dei palazzi rimangono chiusi, anche dei fabbricati non abitati. Anche i portoni delle chiese rimangono chiusi. Ma a Torino fa meno freddo, attorno allo zero, e comunque sotto i portici non piove.