Che mondo è stato nel 2016 secondo Ispi
di Lorenzo Bagnoli
Il 2016 è stato l’anno in cui si è radicalizzata l’incertezza. Il voto britannico per la Brexit, l’ascesa dei populismi, l’Europa sempre a rischio disintegrazione, l’elezione di Donald Trump. Sono queste le conseguenze più importanti di un’incertezza sempre più estrema. È la fotografia del 2016 secondo L’età dell’incertezza, l’ultimo rapporto pubblicato dall’Ispi, l’Istituto studi politici internazionali di Milano.
Nonostante il contesto sempre più compromesso, l’Italia nel 2016 porta a casa una sufficienza piena in politica estera.
Il panel di 121 esperti tra professori, giornalisti, membri di think tank e ricercatori intervistati da Ispi per il suo rapporto dà 6,7 su dieci alle relazioni internazionali di Roma. Un risultato che migliora ulteriormente il 6,5 dello scorso anno.
La crisi della legittimità
Ma per cosa siamo incerti? Le leadership a cui siamo abituati hanno perso prestigio, la minaccia terroristica è sempre crescente, le disuguaglianze economiche diventano sempre più profonde, persino i confini ormai sembrano destinati a nuove geometrie in Medio Oriente, nel Corno d’Africa e pure nei Balcani. Guai, però, a scambiare la conseguenza con la causa.
Il motore che ha provocato gli eventi che hanno contraddistinto l’incertezza del 2016 ha un nome: “crisi distruttiva della legittimità”, come scrive nel primo saggio del rapporto Ispi Alessandro Colombo. Questa perenne messa in discussione delle istituzioni interne e internazionali, questa “epidemia del sospetto” verso tutto ciò che è istituzionale, ha prodotto un fiorire di “alternative”, anche false.
Qui sta la genesi delle fake news: “Non è la diffusione delle ‘false notizie’ a produrre la crisi della legittimità, ma è la crisi della legittimità ad aprire lo spazio alla diffusione delle ‘false notizie’”, scrive Colombo. Questa crisi di legittimità è particolarmente grave nel contesto europeo, dove il rischio, si legge nel rapporto di Ispi, è di innescare un circolo vizioso: “Da un lato se oggi i partiti populisti hanno successo è anche perché l’attuale assetto europeo è in crisi. L’Unione non è più propriamente confederale, ma non è neppure pienamente federale. Dall’altro lato, il salto da un sistema confederale a un sistema federale appare, in questo momento, difficile se non impraticabile”. Questo sentimento verso l’Europa può provocare gli esiti più diversi in Francia, Olanda e Germania, i tre Paesi che si apprestano alle elezioni.
La Brexit nel 2017
Il voto della Gran Bretagna per uscire dall’Unione darà nuovi scossoni all’assetto europeo nel 2017. Le trattative per il divorzio dureranno un anno e mezzo. L’atto di separazione in sé non dovrebbe essere problematico. Al contrario, lo sarà il nuovo accordo Londra-Bruxelles: “Quest’ultima vorrebbe poter continuare ad avere accesso al mercato unico, ma senza sottostare ai quattro principi comunitari: la libera circolazione delle merci, dei servizi, dei capitali e delle persone”.
Nel caso Londra riuscisse, potrebbero esserci altri Paesi a seguire la via inglese. Bruxelles è già alle corde: “In un contesto segnato dalla dirompente decisione inglese, dal crescente populismo europeo e dal moltiplicarsi di tensioni nazionali, l’Europa non può contare in questa fase sulla Commissione europea”, scrive Beda Romano nel capitolo del rapporto dedicato alla Brexit.
All’inizio del suo mandato, Jean-Claude Juncker voleva guidare un “esecutivo comunitario fortemente politico”. In tre anni ha raccolto per lo più sfiducia verso le iniziative più ambiziose, dal ricollocamento obbligatorio dei rifugiati fino al Patto di Stabilità e Crescita, la cui applicazione è stata ritenuta “discrezionale” dai Paesi membri. Politiche troppo invasive secondo gli stati UE.
L’Italia di Renzi. E Putin
L’Italia all’estero targata Renzi e Gentiloni esce bene dai giudizi del panel di 121 esperti sentiti dall’Ispi per compilare la pagella annuale della politica estera italiana. La sufficienza piena matura grazie a voti alti per la gestione delle questioni di sicurezza (7,1 il voto complessivo), l’impegno nei rapporti transatlantici (6,9), la gestione della minaccia del terrorismo e il contributo e il ruolo dell’Italia nelle missioni all’estero (7,1) seppur a fronte di una spesa militare per gli esperti non all’altezza. Bene anche le relazioni con l’amministrazione Obama, che prendono un 7,5. Bocciate, invece, la gestione della crisi con l’India, il ruolo nella governance europea e le politiche sull’immigrazione, tutte “materie” con un voto di 5,8.
Infine, se per gli esperti di politica internazionale, nel 2016 gli Stati Uniti hanno perso terreno, è Vladimir Putin l’uomo dell’anno.
Secondo il 48% degli interpellati è lui il leader più influente dello scacchiere mondiale.
Complice, soprattutto, l’assenza degli americani nei trattati di pace per la Siria, il pallino è in mano solo a Mosca.