Pista-Borgo Mezzanone è un ossimoro, un non luogo popolato da centinaia di immigrati africani in cerca di lavoro nei campi del Tavoliere delle Puglie.
di Maria Pansini
La pista di un aeroporto militare dismesso dopo la seconda guerra mondiale è divenuto, da oltre dieci anni e soprattutto nella stagione estiva, sede di un ghetto che ospita centinaia di braccianti agricoli. Ho visitato la baraccopoli di Borgo Mezzanone guidata da N., giovane ciadiano, che mi ha fatto conoscere una realtà difficile da immaginare in Italia, a 15 km da Foggia e a 100 da Bari.
Marzo è periodo di semina, il ghetto è in fase di riallestimento, numerose sono le baracche in costruzione con ogni genere di materiale: porte, ante di armadi, cartoni, pannelli e striscioni pubblicitari.
M., sudanese, era al gran ghetto di Rignano, costretto ad andar via dopo lo sgombero del 28 febbraio è poi stato trasferito insieme ad altri in un centro di accoglienza predisposto dalla Regione Puglia, ma sostiene che erano in troppi e soprattutto lamenta che da lì i braccianti sono molto distanti dai campi e non riescono ad andare a lavorare. Ha lasciato dunque il centro di accoglienza per costruirsi qui una casupola di lamiere e cartone. M. posa il primo palo della futura baracca e poi si ferma e mi mostra sul suo cellulare la foto dei suoi figli piccoli in Sudan e mi dice che per loro deve trovare la forza di andare avanti.
Sulla pista si affacciano da un lato alcuni containers, mi dicono che è zona di somali, pakistani ed afghani, ci sono piccoli edifici in muratura adibiti a bagni, docce e persino una chiesa cristiana. L’elettricità e l’acqua qui giungono da cavi e tubi che oltrepassano il recinto dell’adiacente CARA (Centro di accoglienza per richiedenti asilo) dove c’è divieto di fotografare.
Nelle numerose baracche c’è di tutto: abitazioni, bar, ristoranti, una discoteca ed un bordello.
Entro in una baracca che funge da ristorante senegalese, il ragazzo all’ingresso mi accoglie con gentilezza e mi dice di essere un percussionista, suona a Foggia con un gruppo e insieme alla sua amica gambiana, che intanto taglia cipolle e cucina pollo e verdure, ha messo su la baracca per la ristorazione. Dice che ora il periodo è tranquillo ma che tra un paio di mesi ci saranno centinaia di persone da sfamare. È orgoglioso della sua impresa. Nel retro la stanza ed il bagno della ragazza sono pulitissimi ed in perfetto ordine, nonostante la precarietà assoluta degli arredi.
Proseguo il mio giro e incontro un ragazzo maliano che sta mettendo su una baracca di assi di legno molto grande, dice che la dividerà in vani e affitterà le “stanze”, mi dice che sta facendo un investimento per il suo futuro. Infondo alla stradina c’è l’ingresso del CARA sulla destra e sulla sinistra delle baracche colorate dove vedo delle ragazze nigeriane. Non vogliono farsi fotografare ma mi permettono di riprendere gli esterni ed il corridoio interno di quello che di notte è il bordello principale del ghetto.
Torno dai sudanesi che intanto mi custodiscono la macchina, mi offrono un ottimo tè rosso aromatizzato con chiodi di garofano. Un signore etiope mi chiede di cercargli un corso di lingua italiana on line da seguire sul suo cellulare. Nonostante sia soltanto marzo la pista alle due di pomeriggio è già bollente e se non fosse per la leggera brezza già farebbe caldo.
Vedo due ragazzi italiani in moto, chiedo loro come mai sono qui, mi rispondono che cercano manodopera per i campi del padre. Ripartono e il mio amico africano ride, dice che secondo lui vengono a comprare qualcos’altro.
Il mio viaggio continua nella vita degli immigrati impiegati nelle campagne del Sud d’Italia e questa ne è solo una piccola tappa. Pista Borgo Mezzanone è un paese surreale, non manca quasi nulla eccetto la dignità dei lavoratori.