Le elezioni confermano la presidenza del socialista Moreno, ma nel Paese crescono le proteste
di Odd Hanssen
Sono passate tre settimane dalle elezioni in Ecuador e il Paese ha finalmente scoperto chi sarà il prossimo presidente. Dopo che l’opposizione aveva accusato il “Consejo Nacional Electoral – CNE” di frode e di attività illecite, spingendo centinaia di migliaia di persone a invadere le strade di tutto il Paese per chiedere il riconteggio dei voti, un riconteggio parziale ha confermato i risultati ufficiali, che danno il socialista Lenin Moreno vincitore con una stretta maggioranza (51.16%).
Le elezioni in Ecuador si inseriscono in un periodo storico segnato da uno spostamento a destra di buona parte del continente latinoamericano.
Le ultime elezioni in Paraguay, Argentina e Perù hanno decretato la vittoria di presidenti conservatori dopo anni di governo di sinistra, mentre la presidente brasiliana Dilma Roussef è stata rimpiazzata dal neoliberista vice-presidente Michel Temer dopo pesanti accuse di corruzione. Molti si aspettavano anche in Ecuador la vittoria dell’opposizione di destra e un ritorno alle politiche neoliberiste degli anni ’90, da interpretare come ulteriore segno del tramonto del populismo di sinistra. Altri sostenevano che i governi del “Socialismo del 21esimo Secolo”, di cui l’Ecuador di Correa è, o è stato, un esempio virtuoso, continuassero, nonostante tutto, a fare gli interessi – e di conseguenza ad attirare i voti – delle classi disagiate, che costituiscono ancora la maggioranza del Paese.
In questo contesto, il primo round delle elezioni di febbraio si è concluso, dopo giorni e giorni di incertezza, con una sconfitta di fatto del candidato di sinistra Moreno che, con il 39,36% delle preferenze, ha mancato di poco il 40%, percentuale che gli avrebbe permesso di evitare il ballottaggio. Il ritardo del CNE nel comunicare i risultati ufficiali ha destato i sospetti dell’opposizione, che ha accusato Alianza Pais (AP), il partito di Correa e di Moreno, di aver cercato di truccare i voti per permettere a Moreno di raggiungere la soglia del 40%. Che questo tentativo fosse in atto o meno, le accuse sono cadute quando il CNE ha dichiarato che nessun candidato aveva raggiunto la soglia e che il Paese sarebbe andato al ballottaggio.
Nelle settimane successive, Moreno e il candidato dell’opposizione Guillermo Lasso, sono stati protagonisti di una feroce campagna elettorale.
Lasso è un ricco banchiere bianco ed è visto da molti esponenti di AP come uno dei responsabili del “feriado bancario” del 1998 e della disastrosa crisi economica che seguì. Quell’anno, a causa della cattiva gestione di fondi pubblici e privati e degli effetti catastrofici di El Niño sulla produzione agricola, il governo non fu in grado di pagare i suoi debiti con banche e istituzioni bancarie, forzando queste ultime a chiudere. Nel tentativo disperato di frenare la crisi, tutte le operazioni finanziarie furono sospese per cinque giorni e i conti correnti furono congelati per un anno. Così, alla fine del 1999, i risparmiatori si trovarono ad aver perso tutto o a vedersi restituito un quinto del proprio denaro, a seguito delle continue svalutazioni della moneta che culminarono nel passaggio dal Sucre al Dollaro.
Lasso, al tempo membro del governo, fu accusato di aver trasferito il suo patrimonio all’estero durante la crisi e di aver contratto debiti sapendo che questi sarebbero stati cancellati o ridotti ad un quinto del loro valore inziale. Tuttavia, come ha sottolineato più volte l’opposizione, le prove a carico di Lasso si rivelarono insufficienti e nessun procedimento giudiziario fu avviato a suo carico.
Nonostante gli osservatori internazionali abbiano assicurato che le elezioni si sono svolte regolarmente, migliaia di persone sono accampate davanti al CNE da giorni e hanno dichiarato di avere assistito ad “irregolarità” commesse dai sostenitori di Moreno in diverse circoscrizioni. Un’ulteriore prova di frode elettorale verrebbe dal sito ufficiale delle elezioni che, dopo aver dato Lasso in netto vantaggio per ore, è misteriosamente andato offline, per poi ricomparire online dando però in vantaggio Moreno.
Infine, i manifestanti hanno sottolineato le forti divergenze tra i sondaggi ufficiali, che avevano previsto una netta vittoria di Moreno, e quelli di Cedatos, il più grande istituto di sondaggi indipendente del paese, che invece aveva previsto la vittoria di Lasso.
Il 18 aprile, dopo lunghe negoziazioni, il presidente Correa ha concesso un riconteggio parziale su un campione di 1,2 milioni di voti (il paese ne conta 14 milioni in totale). Nonostante il riconteggio abbia confermato la vittoria di Moreno, l’opposizione si è detta insoddisfatta della dimensione del campione e Lasso e i suoi sostenitori continuano a sostenere che il nuovo governo sia illegittimo.
Mentre migliaia di manifestanti continuano a protestare sotto piogge torrenziali e grandinate senza precedenti, vale la pena ricordare che le elezioni ecuadoregne sarebbero potute andare in modo molto diverso. Nei suoi dieci anni di vita, il governo di Correa ha certamente contribuito all’innalzamento dello standard di vita delle classi sociali meno abbienti e ha investito milioni nella costruzione e nel miglioramento delle infrastrutture pubbliche. Nonostante questo, molto è cambiato dal 2013, anno in cui Correa fu eletto con il 60% dei voti al primo turno. Vediamo cosa è accaduto per punti:
– un succedersi di scandali di corruzione che ha portato ad indagini e avvisi di garanzia per diversi alti esponenti della società petrolifera statale PetroEcuador e per pubblici ufficiali in tutto il continente, accusati di aver venduto appalti alla società petrolifera brasiliana Odebrecht.
– un aumento esponenziale della spesa pubblica: in grandi opere, che sono costate al Paese molto più dei budget inizialmente previsti; in nuovi enti governativi, come il segretariato del “Bienestar”; in uno stuolo di burocrati strapagati e in un nuovo programma televisivo filo-governativo, mandato in onda ogni sabato su tutte le reti, al costo di 22.000 dollari a puntata.
– un aumento del debito pubblico: l’eccessiva spesa pubblica e la forte diminuzione della domanda di materie prime ecuadoregne (petrolio e minerali), hanno portato il governo ad adottare misure drastiche, come la contrazione di debito estero più alta dagli anni ‘90 e la privatizzazione di diverse imprese pubbliche, come per esempio tre impianti idroelettrici, la cui costruzione era costata allo Stato oltre un miliardo di dollari.
– una concentrazione del potere sull’esecutivo e numerosi attacchi alla libertà di stampa: la nuova costituzione, promulgata nel 2007, ha concesso poteri addizionali all’esecutivo e reso possibili ingerenze del governo nelle decisioni di enti pubblici indipendenti come la Banca Centrale. Inoltre, diverse stazioni TV e radio private sono state costrette a chiudere, molti giornalisti rinomati sono stati censurati, minacciati di licenziamento, o addirittura processati per le loro idee.
Dopo i risultati del riconteggio, i manifestanti hanno poca speranza di vedere il concludersi di un decennio di governo sempre più autoritario e lontano dagli ideali socialisti che lo avevano ispirato. Ciò che invece pare chiaro è che, evitando di scivolare nelle stesse trappole di tanti altri governi a stampo populista, come corruzione diffusa, spesa pubblica eccessiva e attacchi alla libertà di stampa, AP avrebbe potuto ottenere una vittoria netta in febbraio, mantenendo intatta la credibilità del Paese e risparmiando a tutti noi questo enorme pasticcio.