Attiviste laiche, teologhe, predicatrici
di Christian Elia
Un percorso di ricerca, frutto di anni di lavoro sul campo, è sempre un buon punto di partenza per tentare di raccogliere uno sguardo partecipato, una polifonia di voci, rispetto a un tema. E quasi sempre, almeno per chi non se ne occupa, o è abituato a un’informazione mainstream, spiazza molti luoghi comuni.
Ecco che il libro Femminismi e Islam in Marocco – Attiviste laiche, teologhe, predicatrici, edito da Edizioni Scientifiche Italiane, di Sara Borrillo, è davvero utile per avvicinarsi a un tema che, senza approfondire, è diventato comune, ma non analizzato e compreso fino in fondo.
Questo libro è uno spunto forte, che partendo da una categoria generale si concentra sul caso studio del Marocco, il quale è particolarmente interessante per una storia ormai importante (risalente già alla partecipazione femminile nelle lotte anticoloniali della prima parte del Novecento) e sfaccettata, in un paese dove la monarchia è anche ‘custode’ della religione.
Dal discorso di genere a quello di potere, dalla riforma della società al confronto tra tradizione e modernità, passando per la politicizzazione del discorso religioso, fino alla istituzionalizzazione delle istanze sociali, questo testo offre un ampio ventaglio che restituisce una solida galleria di donne impegnate a confrontarsi con la fede e la propria società.
E offre, soprattutto, complessità. Perché le definizioni, anche quando diventano popolari, non sempre sono esaustive. Femminismo islamico è, da tempo, un concetto che viene ripetuto a volte con un rischio di semplificazione.
Lo spiega bene Sara Borrillo nell’introduzione: “In Occidente si affronta il tema della relazione tra diritti delle donne e Islam attribuendo generalmente a quest’ultimo la responsabilità delle discriminazioni di genere nei paesi in cui è credo maggioritario e fonte di normatività sociale e giuridica. Questa idea diffusa, è collegata a due assunti erronei: innanzitutto essa è fondata su una concezione monolitica e astorica dell’Islam, che è sì ispirato ad un unico testo sacro, il Corano, ma che assume molteplici connotazioni spirituali, dottrinali, giuridiche e normative a seconda dei contesti in cui è radicato. In secondo luogo, analogamente, le donne in contesto islamico vengono considerate un insieme omogeneo di eterne vittime del patriarcato d’ispirazione islamica, secondo una visione orientalistica e salvifica nei loro confronti”.
Il panorama, invece, è intricato e ricco. Dalle attiviste laiche, alle teologhe, passando per ricercatrici e predicatrici, il Marocco ha vissuto e vive un confronto vivo e acceso sul tema delle discriminazioni femminili nel campo del lavoro, economico, familiare.
Un cammino che ha influenzato, in alcune occasioni, il percorso normativo del Marocco sul tema, a volte scontrandosi con il potere, a volte vedendo blandite le sue personalità di spicco, a volte influenzando in positivo certe scelte istituzionali.
Non esiste né solo il monolitico blocco arretrato che chiude le donne in casa, né solo il femminismo laico legato ai partiti – associazioni di sinistra, né un femminismo islamico dove unire assieme due stereotipi, su cosa in Occidente sia l’uno e sia l’altro.
Da Fatema Mernissi alla predicatrice Nadia Yassine, si resta affascinati dalle traiettorie diagonali di donne che producono cultura, laica e religiosa, si confrontano con il potere, ma senza cadere mai in una definizione cristallizzata.
Rispetto all’Islam, come rispetto al laicismo, c’è una variegata platea di voci, che hanno magari militato in contenitori che poi hanno rigettato, piuttosto che nel mondo accademico, portando poi la loro voce nella società, per finire con chi da anni organizza salotti al femminile di dibattito e confronto.
La ricerca di Sara Borrillo, ricca di fonti e di interviste, con tanto lavoro sul campo, è un bel viaggio. Nel Marocco e nelle sue contraddizioni, ma anche negli stereotipi che troppe volte diventano discorso pubblico sul mondo islamico nei media occidentali.