March for Science

La March for Science che ha avuto luogo il 22 aprile a Washington contro i tagli alla ricerca ci fa riflettere su quanto profondo sia il legame tra scienza e democrazia

di Bruno Giorgini

Sabato 22 aprile oltre cinquantamila persone di scienza vanno in corteo a Washington per protesta contro la politica di Trump che aumenta di molto le spese militari e riduce drasticamente gli investimenti in R&D (Research and Development, Ricerca e Sviluppo), enunciando per sopramercato la tesi negazionista secondo cui il cambiamento climatico non sarebbe reale, preparandosi a chiudere alcuni dei principali centri di ricerca nel campo.

Anzi il climate changing sarebbe stato inventato per mettere in crisi l’industria degli idrocarburi e combustibili fossili USA con le miniere di carbone chiuse che egli vuole riattivare, denunciando pure gli accordi di Parigi per la riduzione delle emissioni di CO2. E dietro ci devono essere i cinesi; d’altra parte, Xi Jinping, vice premier della Repubblica Popolare, non ha forse pronunciato la seguente frase: “nella nuova era finanza e industria seguiranno la rotta dell’avanzamento nell’alta tecnologia. La dimensione di ogni nazione sarà definità dai giacimenti di conoscenza”. Se una volta l’alternativa era tra il burro e i cannoni, ora pare essere tra la conoscenza scientifica e i missili, Trump scegliendo questi ultimi.

Ma nel suo livore e ostilità contro la scienza e la conoscenza Trump ha dimenticato che “la scienza come sovversione ha una lunga storia. In tutte le culture la scienza è un’alleanza di spiriti liberi che si ribellano contro la tirannide locale che ogni cultura impone ai propri figli” come scrive Freeman Dyson nel suo bel libro Lo scienziato come ribelle.

Epperò in questo caso siamo di fronte a un evento del tutto inedito, un evento che non si era mai dato in precedenza: la scesa in campo di decine di migliaia di scienziate/i che marciano nello spazio pubblico, occupandolo. Per di più se la manifestazione nella capitale federale degli USA è stato la più massiva, centinaia di altre si sono svolte nell’universo mondo, in particolar anglosassone ma anche latino, in Italia a Roma per esempio.

Ci sono stati anche ricercatori critici affermando che la separazione tra scienza e politica deve restare uno dei pilastri, perchè in qualche modo un impegno politico degli scienziati in quanto tali potrebbe inquinare la scienza stessa, la sua obiettività. La scienza è infatti ricerca della verità e il metodo scientifico si vuole indipendente da qualunque categoria politica, un metodo comune a tutti gli scienziati di destra di sinistra o altro che siano. Questa obiezione alla marcia per la scienza può parere ragionevole ma non fa i conti con l’azione di Trump contro la verità scientifica, volta a oscurarla.

Il Presidente degli USA convinto che il cambiamento climatico sia poco più di una fantasia, taglia i fondi ai laboratori e alle istituzioni che lavorano nel campo arrivando a minacciarne la chiusura, talchè i ricercatori non abbiano più i mezzi per provare i loro risultati al di là di ogni ragionevole dubbio.

Ovvero l’esimio Presidente pratica il sabotaggio contro la ricerca della verità e/o falsificazione delle tesi che si confrontano. Si badi bene, non offre ai negazionisti i mezzi per affermare la loro tesi e/o falsificare quella avversa, ma invece toglie fondi ai sostenitori del cambiamento climatico inibendo le possibilità di dimostrare la giustezza scientifica delle loro asserzioni.

Anche perchè i negazionisti sono pochi e non proprio di grande prestigio internazionale. Se così è, altro non si può che contestare una politica volta esplicitamente a azzoppare se non azzerare un intero campo di indagine scientifica e al traino poi, già che ci siamo, indebolire l’intero mondo della ricerca sia al suo interno sia sul piano sociale. Trump, come tutti i reazionari, teme assai la verità intuendo che è, o può essere, rivoluzionaria.

Ma più nel profondo e nel lontano vale la pena ricordare come, seguendo Karl Popper, le origini della scienza e della democrazia siano comuni.

La scienza nasce nell’agorà, il cuore della polis, quando un uomo si alza e presenta una tesi, sul moto dei pianeti per esempio, o sugli stati della materia, i quattro elementi, aria acqua terra e fuoco. E un altro dopo va al centro del cerchio, figura dell’uguaglianza per eccellenza, luogo dei punti equidistanti da un unico punto detto centro, tentando di falsificare, o corroborare la tesi esposta.

Si continua a discutere fin quando tra prove e controprove non ci si mette d’accordo. Lo stesso accade per la politica, l’ethica della polis, da cui la democrazia. Ovvero scienza e democrazia nascono insieme, intrecciate. Più vicino a noi, gli studenti di piazza Tien an Men nella loro prima enorme manifestazione camminavano dietro un grande striscione che recitava: SCIENZA e DEMOCRAZIA.

E comunque come scrive il legislatore nella polis ateniese, Democrazia è il luogo dove nessun sapere viene disperso. Per dirla in altro modo, la marcia degli scienziati a Washington ha riaffermato questa antica dizione, l’ha in qualche modo incarnata.

Quindi allo stato attuale dell’arte rimane il dato forte e del tutto inedito che gli scienziati sono in massa usciti dalle torri d’avorio mettendo i piedi nel piatto della società e della politica, con oltre seicento (600) città che nel mondo sono state teatro di marce per la scienza, mentre migliaia sono state le iniziative più contenute e/o affidate al web.

E in tutti i loro comunicati gli organizzatori sottolineano che la scienza è un “common good” un bene comune pubblico, non separato o separabile dalla società di tutti. In questo senso ribadiscono in lungo e in largo che la loro azione non è “partigiana” ma fatta nel segno della verità, una verità che uscendo dai laboratori e marciando nelle strade e piazze gli scienziato vogliono condividere con la generalità dei cittadini. Con la marcia la scienza si qualifica quindi come corpo di verità che deve trasmigrare dai laboratori, i luoghi specializzati, allo spazio pubblico, non patrimonio privato di una ristretta elite ma per dirla con Marx ”general intellect”.

Qui si apre il tema decisivo della riappropriazione sociale del sapere scientifico e tecnologico ormai sul tavolo da quando, volenti o nolenti, scienza e tecnologia sono presenti in modo significativo nella vita quotidiana di ciascuno/a. Da ultimo si respira negli ambienti scientifici e tra molti ricercatori un’aria frizzante di rivoluzione scientifica, non tanto per nuove eclatanti scoperte ma piuttosto significando che emerge un senso diverso dei risultati scientifici da cui promana un senso diverso del mondo e della sua organizzazione. Più precisamente un senso diverso del nostro stare al mondo in rapporto con la natura e tra gli esseri umani. Una partita che si sta giocando e la cui soluzione non è scontata.

Potrà nascere una libera scienza dei cittadini oppure un mostruoso grande fratello fino al controllo della coscienza individuale e la cancellazione del libero arbitrio. La marcia per la scienza è stata un evento, un passo nella direzione della libera conoscenza per tutti e di tutti, e di un nuovo contratto di equità tra gli umani e la natura.